
venerdì 28 novembre 2008
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venerdì 21 novembre 2008
Invito per due al museo, offre la banca

venerdì 14 novembre 2008
Giorgio Bocca e la crisi del giornalismo italiano

Dottor Bocca, nel suo libro appena pubblicato “E’ la stampa, la bellezza!”, denuncia il mondo del giornalismo italiano. Quali sono i suoi limiti principali?
La pubblicità è diventata il vero direttore del giornale siccome fornisce il 60 per cento dei soldi necessari alla stampa. Poi bisogna considerare il gigantismo, ovvero la mania di aumentare continuamente il numero delle pagine e degli argomenti per cui i giornali sono diventati come quelli americani: il New York Times la domenica pesa quattro. I giornali sono diventati illeggibili.
Cosa significa la frase: “Il giornale come il computer è diventato un simbolo di potere: non importa capirlo, ma averlo”?
Credo che un lettore comune di un giornale attuale non riesca a capirne più del 20 per cento. Il linguaggio è diventato un gergo specialistico o tecnico o dello spettacolo. Io che leggo cinque giornali al giorno faccio fatica a capire quello che c’è scritto.
Come si è arrivati a questa situazione?
Si è arrivati a questa situazione perché il progresso si rivela un regresso. Il progresso ha significato più soldi in pubblicità per i giornali e meno possibilità per i giornalisti di scrivere la verità.
Secondo lei è possibile uscirne?
Non sono un profeta. Penso che il giornalismo sia ancora necessario e penso che tocchi ai giornalisti affrontare anche questi momenti difficili e andare avanti.
Cosa consiglia a un giovane giornalista che si avvicina alla professione?
Do solo un giudizio generale: oggi è molto più difficili fare il giornalista rispetto ai miei tempi.
Cosa rimpiange del “giornalismo di una volta”?
Il giornalismo in cui sono cresciuto io era un giornalismo soprattutto di inchiesta. Tutti quanti andavamo a vedere, ad esempio, come funzionavano le fabbriche come funzionava l’agricoltura, cosa che adesso non fa più nessuno.
In che modo possiamo evitare di essere fagocitati da un sistema ormai malato?
Nel mio libro racconto che uno dei direttori con cui ho avuto a che fare quando mi conobbe mi disse: “Taglia le punte e non fare nomi”. Se io avessi seguito i suoi consigli non avrei più scritto, invece me ne sono infischiato e ho scritto quel che volevo. A volte riuscivo a farmi pubblicare e a volte venivo messo in castigo. Il periodo è indubbiamente difficile perché con questo dominio dell’economia e dello spettacolo i giornali sono diventati dei rotocalchi con pagine e pagine su spettacolo e promozioni.
Nel suo libro spiega che è importante avere dei modelli validi da imitare. Quali sono stati i suoi modelli?
I miei modelli sono stati i giornalisti più anziani di me come Montanelli o come Barzini. Ho imparato a scrivere da loro.
E chi può essere considerato un valido modello al giorno d’oggi?
Non lo so…ci sarò io!
lunedì 10 novembre 2008
Caparezza: "Non sono un cantante di protesta"

Michele sei in tour da aprile e per la terza volta torni a suonare a Milano. Come stanno andando i tuoi concerti? E come trovi il pubblico milanese?
In realtà ho deciso di fare questo secondo giro di concerti proprio perché il primo è andato molto bene. Per tutta l’estate i miei spettacoli hanno avuto un forte consenso di pubblico e questo mi ha permesso di prolungare il tour fino a febbraio, quindi alla fine sarà durato praticamente un anno. Il pubblico milanese è caloroso, molto attento anche se non riesco tanto a fare distinzioni tra i diversi tipi di spettatori perché credo che le persone che si avvicinano alla mia musica abbiano tutti una personalità piuttosto particolare e affine alla mia. Sento nel mio pubblico grande attenzione per le cose che dico e grande energia e voglia di essere parte attiva dei concerti.
I tuoi concerti sono una continua sorpresa, cambi di abbigliamento, travestimenti, scenografie divertenti, ma quello che colpisce sono soprattutto le smorfie del tuo viso e gli atteggiamenti che mostrano una fortissima partecipazione nei confronti della tua musica. Dove trovi ogni sera la freschezza e l’energia di affrontare una nuova serata?
E’ strano perché non usando additivi particolari credo che si tratti di una cosa innata. Penso di trovare l’energia nella mia parte introspettiva. In qualche modo l’aver subito per tanti anni la mia timidezza nei confronti delle cose, timidezza che ha sviluppato un senso critico, mi permette poi quando sono sul palco di esprimere tutta quella parte latente, repressa che accumulo durante i miei giorni senza show. Quindi il miracolo dell’energia che sprigiono sul palco è dovuta a questo perché non faccio nulla nemmeno a livello di preparazione fisica. E’ proprio una questione di adrenalina e di voglia di dire le cose che diventa più forte di qualunque fatica.
Quindi c’è ancora l’adrenalina prima di salire sul palco…
Esistono due tipi di sensazioni: quella più fortemente emotiva che ti porta ad avere paura prima di salire sul palco e che per me appartiene in qualche modo al passato; adesso invece ho solo una grande voglia di mettermi a cantare davanti al mio pubblico e di dire delle cose che per me sono importanti.
Michele, il tuo nuovo disco Le dimensioni del mio caos, è stato pensato come una storia in cui, partendo dalle proteste del Sessantotto arrivi a denunciare diversi aspetti dell’Italia moderna. Ci puoi spiegare meglio cosa vuole significare il tuo album?
Quando ho cominciato a scrivere l’album sapevo già che sarebbe uscito nel quarantennale del Sessantotto e mi sono chiesto che cosa fosse rimasto di quella rivoluzione culturale oggi. Ho affrontato questo argomento sciorinandolo in quattordici canzoni. Non mi do delle risposte, non cerco soluzioni, ma fotografo la realtà. Mi piace l’idea di poter fare dei dischi che abbiano un tema principale, che non siano una semplice compilazione di brani. Mi sono divertito molto a creare un concept, inventandomi delle storie e dei personaggi.
Per i personaggi del tuo album, Ilaria o Luigi delle Bicocche, ti sei ispirato a persone che realmente hai incontrato sul tuo cammino?
Sono delle figure immaginarie che contengono diversi personaggi accomunati da uno stesso modo di fare, le stesse idee, gli stessi obiettivi.
Sei un cantante ironico e critico, divertente, ma anche impegnato. Come ti vedi nel ruolo di cantante di protesta?
Male perché non sono un cantante di protesta, ma un cantante che protesta. A me più di tutto interessa l’arte, che esercito attraverso temi che mi stanno a cuore. Protestare tramite la musica per me è anche un modo per sedare reazioni dirompenti di altro tipo: di fronte a certe realtà per me intollerabili la prima forma di difesa è cantare. Non mi sento a mio agio nel ruolo di cantante di protesta a tutti i costi, io sono uno che fa la sua musica guardandosi intorno, tutto qui. Com’è cambiata la tua musica nel corso degli anni? Come definisci il tuo genere musicale?
Nel corso degli anni mi sono avvicinato sempre di più alla musica suonata rispetto all’elettronica e al campionamento a cui ero abituato quando ero più giovane. Oggi sono molto più attratto dai suoni delle chitarre, batterie acustiche che poi mischio a quello che è il mio background musicale, quindi mi sto avvicinando, in qualche modo, a una forma di cantautorato.
Sei ancora impegnato nell’aiutare giovani gruppi musicali ad emergere? In cosa consiste il tuo supporto?
Prima di raggiungere la popolarità avevo il tempo di produrre degli album, come fanno anche tanti altri artisti. Quello che faccio adesso è sostenere i nuovi gruppi andando ai loro concerti, parlando con loro, dando qualche consiglio e partecipando alle loro canzoni in maniera totalmente amichevole. Si tratta soprattutto di cantanti molfettesi, baresi o salentini. Diciamo che ho messo il mio zampino un po’ dove potevo.
Tu sei pugliese, ma per un periodo della tua vita hai vissuto a Milano per poi ritornare di nuovo nella tua Molfetta. Com’è andata? Sei scappato da Milano o ci sono altri motivi che ti hanno riportato in Puglia?
Quando ero a Milano a studiare sapevo che sarei tornato in Puglia: è stato solo un soggiorno di studio e non ho mai pensato di trasferirmi. Il mio sogno sarebbe quello che si creasse una realtà importante in Puglia che storicamente è sempre stata una regione di emigranti. Chi se ne va, per forza di cose deve lasciare i luoghi dell’infanzia e gli affetti e quindi è sempre una cosa un po’ triste che a me piacerebbe potesse non avvenire più.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Più che un progetto ho un piccolo sogno che spero di riuscire a realizzare nell’età della ragione. Mi piacerebbe, un po’ come tutti i cantanti, creare una mia etichetta discografica qui in Puglia.
Cosa ne pensi della vittoria di Obama in Usa?
Più che soffermarmi sulla vittoria di Obama, che indubbiamente rappresenta una forma di cambiamento importante, io mi fermo a pensare a questa visione che viene dagli Stati Uniti di una politica molto partecipata, cosa che qui in Italia si sta perdendo perché le persone sono totalmente sfiduciate nei confronti della politica e difficilmente escono di casa per andare a fare file chilometriche davanti ai seggi. C’è stata una grande voglia da parte degli americani di farsi parte attiva di queste elezioni, una voglia probabilmente alimentata dal mondo dell’informazione che ha sottoposto i due candidati a un vero e proprio “torchio” mediatico. Questo da noi non avviene: le elezioni sono molto vicine ad avere solo un effetto soporifero sulla gente.
E della protesta degli studenti qui in Italia? Qual è il tuo punto di vista?
Sono contentissimo che ci siano ancora persone che dimostrano con impegno le proprie idee senza farsi abbindolare. Vedo in questo ancora una visione romantica della realtà per cui sono uno di quelli che appoggia questa timida, ma forte forma di sessantottismo che sta venendo fuori in questo periodo.
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