venerdì 14 novembre 2008

Giorgio Bocca e la crisi del giornalismo italiano

Nessuno meglio di Giorgio Bocca può aiutarci a riflettere sulla crisi che sta vivendo oggi la professione di giornalista. "E' la stampa, la bellezza!", il suo nuovo libro vuole essere un'occasione per riflettere sul destino di un mestiere che sembra aver perso le sue virtù. In Italia la carta stampata appare schiacciata dalle pressioni della politica e dell’economia, incapace di reagire allo strapotere della comunicazione televisiva, non più in grado di scandagliare i mutamenti reali della società. Abbiamo approfondito queste e altre questioni nell'intervista che segue.
Dottor Bocca, nel suo libro appena pubblicato “E’ la stampa, la bellezza!”, denuncia il mondo del giornalismo italiano. Quali sono i suoi limiti principali?
La pubblicità è diventata il vero direttore del giornale siccome fornisce il 60 per cento dei soldi necessari alla stampa. Poi bisogna considerare il gigantismo, ovvero la mania di aumentare continuamente il numero delle pagine e degli argomenti per cui i giornali sono diventati come quelli americani: il New York Times la domenica pesa quattro. I giornali sono diventati illeggibili.
Cosa significa la frase: “Il giornale come il computer è diventato un simbolo di potere: non importa capirlo, ma averlo”?
Credo che un lettore comune di un giornale attuale non riesca a capirne più del 20 per cento. Il linguaggio è diventato un gergo specialistico o tecnico o dello spettacolo. Io che leggo cinque giornali al giorno faccio fatica a capire quello che c’è scritto.
Come si è arrivati a questa situazione?
Si è arrivati a questa situazione perché il progresso si rivela un regresso. Il progresso ha significato più soldi in pubblicità per i giornali e meno possibilità per i giornalisti di scrivere la verità.
Secondo lei è possibile uscirne?
Non sono un profeta. Penso che il giornalismo sia ancora necessario e penso che tocchi ai giornalisti affrontare anche questi momenti difficili e andare avanti.
Cosa consiglia a un giovane giornalista che si avvicina alla professione?
Do solo un giudizio generale: oggi è molto più difficili fare il giornalista rispetto ai miei tempi.
Cosa rimpiange del “giornalismo di una volta”?
Il giornalismo in cui sono cresciuto io era un giornalismo soprattutto di inchiesta. Tutti quanti andavamo a vedere, ad esempio, come funzionavano le fabbriche come funzionava l’agricoltura, cosa che adesso non fa più nessuno.
In che modo possiamo evitare di essere fagocitati da un sistema ormai malato?
Nel mio libro racconto che uno dei direttori con cui ho avuto a che fare quando mi conobbe mi disse: “Taglia le punte e non fare nomi”. Se io avessi seguito i suoi consigli non avrei più scritto, invece me ne sono infischiato e ho scritto quel che volevo. A volte riuscivo a farmi pubblicare e a volte venivo messo in castigo. Il periodo è indubbiamente difficile perché con questo dominio dell’economia e dello spettacolo i giornali sono diventati dei rotocalchi con pagine e pagine su spettacolo e promozioni.
Nel suo libro spiega che è importante avere dei modelli validi da imitare. Quali sono stati i suoi modelli?
I miei modelli sono stati i giornalisti più anziani di me come Montanelli o come Barzini. Ho imparato a scrivere da loro.
E chi può essere considerato un valido modello al giorno d’oggi?
Non lo so…ci sarò io!

1 commento:

Igor ha detto...

consiglio la visione anche della sua intervista a daria Bignardi su La7

http://www.la7.it/approfondimento/dettaglio.asp?prop=invasioni&video=19306