“La lotta alla mafia unisce solo i morti. I vivi li divide tra chi la fa e chi la lascia fare agli altri”. Questa non è solo una frase provocatoria stampata in stampatello sul retro di un libro, una frase ad effetto messa lì per colpire. Questa frase racchiude con poche parole tutto il profondo significato del nuovo libro di Claudio Fava, I Disarmati, presentato mercoledì scorso presso la Feltrinelli di piazza Duomo a Milano. “I Disarmati – spiega il giornalista e politico autore del libro – è un titolo ingannevole perché fa pensare che ci troviamo pessimisticamente disarmati nei confronti della mafia. Invece io ho voluto raccontare di tutta quella gran fetta di popolazione che decide volontariamente di lasciarsi disarmare dalla mafia, di chiudersi nel guscio di omertà che essa impone, di scegliere la convenienza piuttosto che la legalità”. “La ricerca di Fava – spiega il giornalista Gianni Barbacetto, presente all’incontro – non vuole solo parlare di mafia, ma soprattutto vuole proporre un ragionamento sull’antimafia. Dopo anni in cui di questi argomenti non si poteva nemmeno parlare, credo che oggi si sia raggiunta una distanza tale per poterci fare delle serie riflessioni”.
C’è un’antimafia di cose fatte, conquistate, volute con ostinazione. Ma c’è anche l’antimafia delle occasioni perdute, di chi ha voltato le spalle a se stesso, ha svenduto il mestiere e la faccia. Di solito si racconta la prima, con i suoi eroi, i suoi martiri, le buone intenzioni. Per la prima volta questo libro racconta la verità sugli errori, le ingenuità, le viltà di chi avrebbe dovuto e potuto fare, ma ha preferito non fare. I Disarmati perlustra le terre di mezzo, le infinite zone grigie della contiguità e della compiacenza che hanno imbavagliato l’antimafia e reso possibile, quando non favorito, la mafia. Un viaggio che racconta i complici del silenzio e del consociativismo mafioso: nel giornalismo, nella politica, nella società civile. Per una volta, con i nomi e i cognomi al loro posto. Non mancano i ritratti di incredibile forza emotiva e collettiva di chi la propria battaglia l’ha combattuta e la combatte ogni giorno fino in fondo (dai grandi magistrati antimafia, ai giornalisti uccisi per amore della verità, fino agli imprenditori-coraggio), che sono evocati come la cifra di una terra che non si arrende e non si adegua.
Claudio Fava riesce ancora a indignarsi nei confronti di un sistema silenzioso che assorbe tutto e che avrebbe potuto assorbire anche lui. I Disarmati è un viaggio in Sicilia, a Palermo, a Catania, con qualche capatina negli uffici romani che contano, magari dei partiti della sinistra. Demolisce con fredda brutalità due dei più grandi quotidiani siciliani: il Giornale di Sicilia e La Sicilia. Entrambi fondati e gestiti da famiglie che non hanno mai disprezzato amicizie mafiose, frequentazioni massoniche e fotografie accanto ai boss. Un viaggio che racconta di fatti e persone, nomi e cognomi, colpevoli e colpiti, ma senza pietismo e falsi moralismi. Solo fatti nudi e crudi. Puro lavoro di denuncia giornalistica che si astiene dai giudizi perché di fronte a pizzi, regolamenti di conti, intrecci tra mafia e giornalismo, politica e magistratura ogni commento lascia il tempo che trova.Al giornalista Mario Francese il tesserino da pubblicista viene dato dopo essere stato ucciso da sicari mafiosi. Riconoscimenti sì, ma di indagini manco l’ombra. Troppo per un ragazzino di 13 anni, Giuseppe Francese, figlio del giornalista che non appena raggiunta l’età della ragione sceglie di intraprendere la professione del padre e di indagare sui suoi assassini. Il suo lavoro di ricerca costerà l’ergastolo per dodici persone. Così nel 2002 Giuseppe Francese scrive nel suo diario “Adesso il mio lavoro è finito” e si uccide. Storie di persone coraggiose costrette a combattere quotidiane battaglie solitarie, spesso derisi e guardati come alieni, storie di chi ha scelto la via più semplice e fa affari con la mafia alimentando quella che non è più solo un’organizzazione criminale, ma un vero sistema di potere infinitamente influente nel nostro territorio. Fava torna agli anni 80, dopo l’eccidio di Dalla Chiesa, della moglie e dell’agente di scorta. Rivede quei corpi e ricorda gli anni del coordinamento antimafia, messo in piedi dai giovani che affrontarono Sciascia dandogli del "quaraquaquà" quando attaccò Borsellino dalle colonne del Corriere della Sera. Ricorda e non nasconde le enormi contraddizioni dei leader, da Orlando che sparò (verbalmente) contro Falcone, mirando in alto, a Carmine Mancuso, il figlio del poliziotto Lenin ammazzato da cosa nostra; il Carmine passato dall’antimafia militante alle file di Forza Italia, che forse con i soldi della mafia fu costituita. Parla dell’ involuzione del Partito Comunista Italiano, che dall’intransigenza legalitaria che portò sulla croce Pio La Torre abdicò completamente alla lotta alla mafia, passando il comando a dirigenti indegni come Michelangelo Russo. Il tutto in nome di un immotivata frenesia di progresso, un progresso fittizio e a beneficio dei mafiosi. E dei loro amici. Per non parlare della squallida e orgogliosa confessione di uno dei fondatori del Pci siciliano, Napoleone Colajanni: “i soldi degli appalti li presi anch’io quando ero segretario della federazione di Palermo. Ma c’erano tre regole: non mettersi una lira in tasca, non dare nulla in cambio e non farsi beccare”. La Sicilia di quegli anni era un bestiario in cui entra a pieno titolo Sergio D'Antoni, ex segretario della Cisl, candidato alle europee con il Pd: "Se lottare per i lavoratori vuol dire essere mafiosi allora viva la mafia" scandiva di fronte alla bara di cartone di Orlando che i lavoratori delle aziende colluse bloccate dal sindaco di Palermo portavano in corteo. Dietro di lui annuiva Raffaele Bonanni. Lui come molti altri.
“Alla fine del libro al lettore viene da porsi una domanda – commenta il magistrato Armando Spataro -: questi giudici, giornalisti, politici corrotti e invischiati nelle maglie mafiose, a distanza di anni, avranno avuto qualche ripensamento sulla propria condotta? Si saranno chiesti quanto l’intermittenza di atteggiamenti nei confronti dei cittadini, il tradimento della fiducia accordata loro dalla gente, possa aver contribuito a rendere marcio il nostro Paese?”
http://www.ilrecensore.com/wp2/2009/05/i-disarmati-dalla-mafia-tra-convenienza-e-connivenza/
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