lunedì 8 giugno 2009

Robert Capa, Gerda Taro e un'autentica passione

Due vite, due destini, due storie, una sola passione: la fotografia. Robert Capa e Gerda Taro sono uniti nella vita, ma anche nel lavoro. Due reporter di guerra che lavorano per la rivista “Vu”. Arrivano insieme in Spagna il 5 agosto del 1936. La guerra civile non è iniziata nemmeno da un mese mentre i due completano diversi reportage dal fronte di Cordoba e da Barcellona. La fotografia si sviluppa in modo sempre più prepotente, così la guerra di Spagna avrà una grande copertura mediatica. Un occhio vigile a testimoniare le vicende del mondo. Tutto questo è visibile presso Forma, Centro Internazionale di Fotografia, che ospita “Questa è la guerra! Robert Capa al lavoro, una grande mostra, composta di quasi 300 scatti. Un resoconto di immagini vintage, documentazioni, provini a contatto e lettere personali per comprendere e conoscere come uno dei più apprezzati fotografi di tutto il mondo, promotore e animatore dell’agenzia Magnum, lavorava e affrontava gli impegnativi e strenuanti viaggi sui vari fronti di guerra. Per la prima volta, accanto alla mostra di Capa, inaugura contemporaneamente una mostra che la completa e spiega: l’esposizione di Gerda Taro, anch’essa fotografa e celebre soprattutto per l’intensa relazione sentimentale instaurata con Robert Capa. La Taro è stata una pioniera della fotografia passando tutta la sua breve vita per raccontare gli scontri tra franchisti e partigiani in Spagna. Infatti si spegnerà a soli 27 anni proprio durante un conflitto a fuoco. Ma i suoi ritratti erano stati, fino a oggi, poco osservati e oltremodo sottovalutati. Questa mostra ha il valore di riconsegnarla alla storia, a ragione, come fotografa temeraria e talentuosa.
Le foto che ritraggono la guerra civile spagnola immortalano tutto il mondo che gira intorno al conflitto: non solo soldati al fronte con la baionetta puntata, ma anche la popolazione civile devastata dalla guerra. Particolare attenzione è riservata a donne e bambini. Un gruppo di signore che con enormi cesti di panni in testa fuggono alla ricerca di un riparo, bimbi in attesa di un tozzo di pane, ragazzini soldato sull’attenti, fieri di indossare la divisa e di poter stringere il fucile tra le mani. Ma si osservano anche soldati nel momento del riposo, a scambiare quattro chiacchiere per allentare la tensione o rifugiati sotto un grande masso a consumare il rancio in fretta e furia aspettando un nuovo scontro. Su questi temi si confrontano i due fotografi che con stili e inquadrature differenti mostrano una simile genialità. L’occhio della Taro è sfuggente e abile nel cogliere il movimento, gli scorci, l’infinito attraverso un muro abbattuto da una bomba a mano. Robert Capa cura le inquadrature, coglie gli sguardi e l’animo della gente, involontaria protagonista dei suoi scatti. Il racconto della guerra giunge a descrivere anche gli attimi più raccapriccianti della tragedia: la morte che si insinua tra soldati e popolazione. Non ci sono tabù e inibizioni nel fermare sulla pellicola l’immagine di soldati colti nel momento in cui una pallottola li colpisce alla schiena o giovani in divisa sanguinanti sul letto di un ospedale da campo. Le fotografie della mostra proseguono nella descrizione di altre guerre: il conflitto tra Cina e Giappone e la Seconda Guerra Mondiale. Ma nulla cambia. Gli occhi a mandorla dei protagonisti non modificano la sensazione di disperazione che porta la guerra, la tragica stupidità di un fenomeno voluto da pochi e che si abbatte su popolazioni innocenti costrette a subire orrori e perdite in nome di un ideale spesso inafferrabile.

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