lunedì 22 giugno 2009

L'arte fatta di timbri di Reena Saini Kallat

Sembrano dei normalissimi ritratti di donne, uomini, bambini indiani. Ma a guardarli più da vicino si scopre che non è così. Centinaia di timbri compongono questi enormi disegni che osservati con attenzione sembrano essere formati da grandi circuiti elettrici. L’originale idea è venuta a Reena Saini Kallat, giovane artista indiana che ha presentato la sua prima personale europea presso il Primo Marella Gallery di Milano. La serie dei Synonyms raccoglie numerosi ritratti composti da diverse centinaia di timbri differenti per colore e matrice. I timbri trascrivono, con oltre quattordici alfabeti diversi della lingua indiana, i nomi di coloro che sono registrati come dispersi nelle varie regioni dell’India. Scomparsi a causa di calamità naturali, inondazioni, terremoti, alluvioni, ma anche per rivolte e incidenti di massa, rapiti o fuggitivi di cui la polizia ha perso ogni traccia. Ci sono persone che paiono scivolate fuori dal radar della comunicazione umana, sganciate dalla rete di sicurezza sociale. Il ritratto di un cittadino del sub-continente è formato da molti di questi nomi. Il retro di ogni Synonym appare come un mare di identità invisibili. Mattoncini su mattoncini colorati che assumono un significato nominale da vicino e uno pittorico da lontano. Come a voler spiegare allo spettatore che l’unità identitaria, indiana in questo caso, è possibile solo tramite una presa di coscienza collettiva, uno sguardo a volo d’uccello sul totale. Solo così è possibile comprendere la complessità di un Paese come l’India, in cui differenze etniche e linguistiche si mescolano con l’eterogeneità dei paesaggi e delle culture. Trovarsi davanti a questi enormi ritratti regala una duplice sensazione di stupore e smarrimento. Si resta completamente avvolti dal colore e dalla perfezione dell’immagine creata e viene voglia di esplorarla nel dettaglio, ma quando si cerca di fare ciò ci si perde nella frammentazione creata dai tasselli multicolore.
Esplorando la seconda parte della mostra di Reena Saini Kallat, si resta, se possibile, ancora più stupiti. L’opera che colpisce maggiormente è “The ironing board”, una scultura stavolta. Si tratta di un abnorme asse da stiro con un ferro assolutamente incapace di assolvere alla sua tradizionale funzione: diverse protuberanze, infatti, sporgono dalla base rendendolo inservibile. Ci sono armi, tetti di edifici religiosi, oggetti simili ai pezzi degli scacchi. La scultura vuole essere un riferimento alla stretta relazione, spesso conflittuale, che l’India mantiene con il confinante Pakistan. Due nazioni da sempre incompatibili, ma alla ricerca di un processo di pacificazione. Sul drappo che si trova sotto il ferro da stiro, infatti, sono ricamati i nomi di tutti coloro che hanno firmato la petizione di pace tra India e Pakistan, oltre al disegno di mappe che rappresentano territori contesi tra i due Stati, un’immagine ricorrente nelle opere dell’artista. Reena Saini Kallat utilizza le mappe come simbolo per criticare la stupidità umana nel mondo, senza volersi limitare alla realtà indiana. Il messaggio che traspare è pessimista: un ferro da stiro che non può essere usato per appianare le pieghe del drappo, come a voler suggerire un’impossibilità di sedare i contrasti.

Nessun commento: