(17 aprile 2009)
Cinque stili, cinque giovani artisti, cinque interpretazioni della realtà, un’unica cornice. Nei suggestivi e ampi spazi ex-industriali della Fabbrica Borroni di Bollate (Mi) è ospitata dal 17 aprile al 10 maggio, l’esposizione “Take Off”che riunisce le opere di cinque artisti trentenni, tra i più geniali nella scena contemporanea italiana. La mostra non ha lo scopo, come spesso accade, di dare espressioni diverse e personali a un tema specifico, ma vuole essere il trampolino di lancio di artisti emergenti che hanno avuto la possibilità di presentare cinque personali esponendo i propri lavori in totale libertà. Questo ha permesso alla creatività di ciascuno di essere trasmessa all’occhio e all’anima dello spettatore con potenza massima. Alessandro Brighetti, Desiderio, Fabiano Parisi, Felipe Cardeňa e Svitlana Grebenyuk sono i protagonisti di “Take Off”, mostra curata da Chiara Canali, in cui si alternano quadri, installazioni, collage, videoproiezioni e suoni. Avvicinare cinque personalità e tecniche così diverse significa indagare nelle nuove prospettive dell’arte contemporanea che trova le sue nuove forme nell’interazione tra generi.
L’esposizione di Alessandro Brighetti è intitolata “God Alter Ego” e attraverso enormi wall drowings cerca di raccontare l’idea dell’uomo come dio del proprio mondo. La compenetrazione di arte e scienza, l’accostamento di pittura e collage, non vogliono esprimere una critica negativa, ma una presa di coscienza di come l’uomo può elevarsi a Dio per mezzo della ricerca e di scoperte tecnologiche che danno la possibilità di progredire a partire dalle basi date dalla natura. Per questo Brighetti ci mostra una grande zoomata al microscopio di un’arteria umana in cui decine di gru lavorano con assiduità oppure un enorme vetrino istologico per un’osservazione da laboratorio. Anche l’inversione delle dimensioni, dunque, per spiegare come l’uomo, da microscopico microcosmo, possa trasformarsi in demiurgo.
La sala dedicata all’esposizione di Desiderio e chiamata “Atomic Racket” è sicuramente la più inquietante. Pitture e suoni diventano un tutt’uno spaventoso di cui i bambini sono tristi protagonisti. Situazioni perfettamente normali racchiudono particolari destabilizzanti che spaventano e straniano fortemente. Un grande quadro che rappresenta una classe di bambini in grembiule bianco, nasconde un ragazzino con due teste e una suora con la faccia di un robot: non un sorriso, solo tristezza negli occhi di tutti. Tristi ricordi dell’epoca di Chernobyl. Così come i grandi ritratti di bimbi che portano in braccio animali abnormi e deformati. La bambina dallo sguardo tranquillo accostata a un enorme e spaventoso aneroide di lamiera racconta una necessità di proiezione verso il futuro e una voglia di esistenza al di là di una normalità ricercata e purtroppo impossibile da raggiungere.
Fabiano Parisi con “Still Life” arricchisce la sua già importante collezione “Residui industriali e umani”. Una serie di desolanti stampe fotografiche in tecnica mista e resina su ferro, incorniciati e sulle quali l’artista interviene con la pittura. L’idea è quella di dare nuova vita all’abbandono di vecchi spazi industriali in cui i giochi di luci e colori creano una nuova freschezza, ma anche un opprimente senso di statico vuoto. Attraverso le fabbriche svuotate di significato è forse possibile cogliere l’eco della vita e delle vite e delle storie che le hanno attraversate nel tempo.
Tutt’altra atmosfera si respira nella sala dedicata a Felipe Carena che si presenta con “The Black Dahlia”. Colori e fiori sono l’elemento dominante dei suoi collages, ma ogni opera ha un protagonista diverso. Questa collezione è dedicata alla detective story d’autore con collage dedicati a protagonisti che potrebbero provenire dalle più rinomate storie poliziesche degli anni Trenta e Quaranta. Una serie di potenziali assassine dagli occhi penetranti e dal sorriso ammaliante o anche modelle e attrici finite per un crudele scherzo del destino come vittime sacrificali di un delitto premeditato.
La maggior parte dei personaggi dipinti da Svitlana Grebenyuk, invece, è rappresentata da uomini senza volto. Nell’esposizione “Ultima Traccia” l’artista racconta un percorso personale dall’esplosione dei colori e dalla definizione dei tratti, alla ricerca minimale in bianco e nero nella descrizione dei protagonisti. Da paesaggi e personaggi rappresentati come in una fotografia, si arriva al racconto tramite linee essenziali, con l’utilizzo di pochi, semplici particolari utili alla descrizione del soggetto, che, tuttavia, non perde la sua potenza emotiva. Anzi, la sensazione di mancanza, di vuoto, di necessità di creazione personale dello spettatore, dona nuova forza espressiva ai quadri della Grebenyuk.
lunedì 22 giugno 2009
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