venerdì 28 novembre 2008

La Crus, ultimo show prima del divorzio

Un grande spettacolo fatto di musica e recitazione, contributi audio e video, partecipazione di grandi personalità della musica italiana. Il tutto in una cornice di classe come il Teatro degli Arcimboldi. Hanno scelto un modo raffinato per uscire di scena i La Crus che giovedì 4 dicembre saluteranno il loro pubblico con un ultimo grande concerto milanese dal titolo “A Milano non fa freddo”. Un appuntamento imperdibile che chiude la storia di una delle band più originali e suggestive del panorama italiano, una storia durata 15 anni, fatta di dischi seminali, innovativi e pluripremiati, tracciata da un percorso ricco di intuizioni, rivelazioni, collaborazioni. “Abbiamo sempre vissuto i La Crus come un progetto di continua innovazione – ha spiegato Mauro Ermanno Giovanardi, cantante del gruppo - e quando ci siamo resi conto di non poter più continuare su questa strada abbiamo pensato che la cosa migliore da fare fosse dare una conclusione a quello che è stato un percorso di crescita per tutti noi”. Lo spettacolo abbraccerà tutta la poetica tipica della musica dei La Crus e ripercorrerà la loro avventura musicale in compagnia di amici che negli anni hanno incrociato la loro strada, con cui hanno collaborato e condiviso lo stesso palcoscenico. Cristina Donà, Samuele Bersani, Riccardo Tesio e Cristiano Godano dei Marlene Kuntz, Rachele Bastreghi dei Baustelle, Nada e Manuel Agnelli degli Afterhours saranno gli ospiti presenti alla grande festa meneghina. Una serata che si annuncia intensa e ricca di sorprese, in linea con la cifra stilistica della band milanese. Canzone italiana d’autore, elettronica, videoproiezione, pop e teatro, il tutto diretto dalla regia di Francesco Frongia. “I La Crus sono stati per noi il più grande amore della nostra vita – spiega Cesare Malfatti – e gli amori sinceri non meritano mediocrità. Per questo abbiamo pensato di chiudere il nostro progetto in bellezza festeggiando la morte del gruppo perché questo significherà una rinascita per ciascuno di noi che continuerà la propria strada individualmente”. La scelta della scaletta cadrà sulle canzoni più importanti della carriera della band, le più struggenti, le più delicate e introspettive. Quelle che hanno fatto la storia del gruppo e che lo hanno maggiormente caratterizzato, ma non mancheranno i brani dell’ultimo album “Io non credevo che questa sera”. Sul palco insieme a Mauro Ermanno Giovanardi e Cesare Malfatti, saliranno i musicisti di sempre, Paolo Milanesi, Laziero Rescigno e Marcello Testa, accompagnati dall’Orchestra da Camera dell’Ensemble Musica Morfosi diretta da Feyzi Brera.

venerdì 21 novembre 2008

Invito per due al museo, offre la banca

Il patrimonio culturale italiano non è sufficientemente valorizzato dal punto di vista del sostegno finanziario. Da qui l’idea di Banca Network Investimenti di prendersi cura del proprio cliente attraverso l’arte. Il nuovo progetto della rete finanziaria presentato al Poldi Pezzoli, si chiama “Invito al museo” e propone ai suoi più di 120mila clienti l’invito per due persone a visitare gratuitamente (da gennaio ad aprile 2009) diversi musei italiani che hanno aderito al network creatosi per l’occasione. “I musei ci trasmettono valori eterni della bellezza artistica – ha spiegato Annalisa Zanni, responsabile del museo Poldi Pezzoli -. Essi rappresentano un patrimonio che appartiene alla sfera dello spirito e per questo vanno sostenuti e difesi. Questo è il motivo per cui siamo orgogliosi che un grande gruppo come Banca Network Investimenti si avvicini alla nostra realtà”. Per promuovere l’iniziativa, ai clienti, verranno distribuite carte di credito, bancomat e carnet di assegni con la raffigurazione di famosi ritratti. I volti dipinti da Andrea Appiani, Sandro Botticelli, Gustav Klimt, Andrea Mantegna, Amedeo Modigliani, Raffaello Zandomeneghi, Pietro Cosimo, Giuseppe De Nittis sono stati reinterpretati accostando elementi di quadri antichi allo stile moderno dello sfondo, creando così immagini calde e piacevoli. “La scelta dei ritratti femminili non è stata casuale – ha detto Angelo Testori, presidente di Banca Network Investimenti -. La donna, infatti, è uno dei simboli più efficaci per trasmettere cura, attenzione, crescita e dedizione, tutti valori presenti nella mission del nostro gruppo”. L’arte e, in particolare la pittura, hanno da sempre un forte valore sia culturale che economico. “Il nostro gruppo – ha continuato Testori – ha come obiettivo quello di valorizzare la propria immagine tramite una valida iniziativa culturale. Crediamo che il nostro successo, infatti, dipenda anche dalla complessiva crescita culturale dell’ambiente in cui operiamo”. Alla presentazione ha partecipato anche il critico d’arte Vittorio Sgarbi che ha commentato: “Il denaro acquista senso se consente di accrescere la bellezza del mondo. Se il “bello” diventa uno strumento per prendersi cura dei propri clienti interpretando il legame tra valore culturale ed economico dell’arte, sicuramente si tratta di un’iniziativa pregevole”. L’arte è un mezzo di comunicazione raffinato e potente perché in grado di parlare, raccontare, trasmettere contenuti ed emozioni. “Quando un privato opera per il bene comune – ha concluso Sgarbi – fa un servizio pubblico. Banca Network Investimenti ha capito che se il denaro non ha la funzione di produrre bellezza allora non serve a niente”.

venerdì 14 novembre 2008

Giorgio Bocca e la crisi del giornalismo italiano

Nessuno meglio di Giorgio Bocca può aiutarci a riflettere sulla crisi che sta vivendo oggi la professione di giornalista. "E' la stampa, la bellezza!", il suo nuovo libro vuole essere un'occasione per riflettere sul destino di un mestiere che sembra aver perso le sue virtù. In Italia la carta stampata appare schiacciata dalle pressioni della politica e dell’economia, incapace di reagire allo strapotere della comunicazione televisiva, non più in grado di scandagliare i mutamenti reali della società. Abbiamo approfondito queste e altre questioni nell'intervista che segue.
Dottor Bocca, nel suo libro appena pubblicato “E’ la stampa, la bellezza!”, denuncia il mondo del giornalismo italiano. Quali sono i suoi limiti principali?
La pubblicità è diventata il vero direttore del giornale siccome fornisce il 60 per cento dei soldi necessari alla stampa. Poi bisogna considerare il gigantismo, ovvero la mania di aumentare continuamente il numero delle pagine e degli argomenti per cui i giornali sono diventati come quelli americani: il New York Times la domenica pesa quattro. I giornali sono diventati illeggibili.
Cosa significa la frase: “Il giornale come il computer è diventato un simbolo di potere: non importa capirlo, ma averlo”?
Credo che un lettore comune di un giornale attuale non riesca a capirne più del 20 per cento. Il linguaggio è diventato un gergo specialistico o tecnico o dello spettacolo. Io che leggo cinque giornali al giorno faccio fatica a capire quello che c’è scritto.
Come si è arrivati a questa situazione?
Si è arrivati a questa situazione perché il progresso si rivela un regresso. Il progresso ha significato più soldi in pubblicità per i giornali e meno possibilità per i giornalisti di scrivere la verità.
Secondo lei è possibile uscirne?
Non sono un profeta. Penso che il giornalismo sia ancora necessario e penso che tocchi ai giornalisti affrontare anche questi momenti difficili e andare avanti.
Cosa consiglia a un giovane giornalista che si avvicina alla professione?
Do solo un giudizio generale: oggi è molto più difficili fare il giornalista rispetto ai miei tempi.
Cosa rimpiange del “giornalismo di una volta”?
Il giornalismo in cui sono cresciuto io era un giornalismo soprattutto di inchiesta. Tutti quanti andavamo a vedere, ad esempio, come funzionavano le fabbriche come funzionava l’agricoltura, cosa che adesso non fa più nessuno.
In che modo possiamo evitare di essere fagocitati da un sistema ormai malato?
Nel mio libro racconto che uno dei direttori con cui ho avuto a che fare quando mi conobbe mi disse: “Taglia le punte e non fare nomi”. Se io avessi seguito i suoi consigli non avrei più scritto, invece me ne sono infischiato e ho scritto quel che volevo. A volte riuscivo a farmi pubblicare e a volte venivo messo in castigo. Il periodo è indubbiamente difficile perché con questo dominio dell’economia e dello spettacolo i giornali sono diventati dei rotocalchi con pagine e pagine su spettacolo e promozioni.
Nel suo libro spiega che è importante avere dei modelli validi da imitare. Quali sono stati i suoi modelli?
I miei modelli sono stati i giornalisti più anziani di me come Montanelli o come Barzini. Ho imparato a scrivere da loro.
E chi può essere considerato un valido modello al giorno d’oggi?
Non lo so…ci sarò io!

lunedì 10 novembre 2008

Caparezza: "Non sono un cantante di protesta"

A sette mesi di distanza dall’inizio del suo tour Michele Salvemini, in arte Caparezza, torna a calcare i palchi milanesi con un concerto al Live Club di Trezzo sull’Adda sabato 15 novembre alle ore 22. Abbiamo fatto qualche domanda al cantante pugliese per saperne di più sul suo show e sul suo ultimo album.
Michele sei in tour da aprile e per la terza volta torni a suonare a Milano. Come stanno andando i tuoi concerti? E come trovi il pubblico milanese?
In realtà ho deciso di fare questo secondo giro di concerti proprio perché il primo è andato molto bene. Per tutta l’estate i miei spettacoli hanno avuto un forte consenso di pubblico e questo mi ha permesso di prolungare il tour fino a febbraio, quindi alla fine sarà durato praticamente un anno. Il pubblico milanese è caloroso, molto attento anche se non riesco tanto a fare distinzioni tra i diversi tipi di spettatori perché credo che le persone che si avvicinano alla mia musica abbiano tutti una personalità piuttosto particolare e affine alla mia. Sento nel mio pubblico grande attenzione per le cose che dico e grande energia e voglia di essere parte attiva dei concerti.
I tuoi concerti sono una continua sorpresa, cambi di abbigliamento, travestimenti, scenografie divertenti, ma quello che colpisce sono soprattutto le smorfie del tuo viso e gli atteggiamenti che mostrano una fortissima partecipazione nei confronti della tua musica. Dove trovi ogni sera la freschezza e l’energia di affrontare una nuova serata?
E’ strano perché non usando additivi particolari credo che si tratti di una cosa innata. Penso di trovare l’energia nella mia parte introspettiva. In qualche modo l’aver subito per tanti anni la mia timidezza nei confronti delle cose, timidezza che ha sviluppato un senso critico, mi permette poi quando sono sul palco di esprimere tutta quella parte latente, repressa che accumulo durante i miei giorni senza show. Quindi il miracolo dell’energia che sprigiono sul palco è dovuta a questo perché non faccio nulla nemmeno a livello di preparazione fisica. E’ proprio una questione di adrenalina e di voglia di dire le cose che diventa più forte di qualunque fatica.
Quindi c’è ancora l’adrenalina prima di salire sul palco…
Esistono due tipi di sensazioni: quella più fortemente emotiva che ti porta ad avere paura prima di salire sul palco e che per me appartiene in qualche modo al passato; adesso invece ho solo una grande voglia di mettermi a cantare davanti al mio pubblico e di dire delle cose che per me sono importanti.
Michele, il tuo nuovo disco Le dimensioni del mio caos, è stato pensato come una storia in cui, partendo dalle proteste del Sessantotto arrivi a denunciare diversi aspetti dell’Italia moderna. Ci puoi spiegare meglio cosa vuole significare il tuo album?
Quando ho cominciato a scrivere l’album sapevo già che sarebbe uscito nel quarantennale del Sessantotto e mi sono chiesto che cosa fosse rimasto di quella rivoluzione culturale oggi. Ho affrontato questo argomento sciorinandolo in quattordici canzoni. Non mi do delle risposte, non cerco soluzioni, ma fotografo la realtà. Mi piace l’idea di poter fare dei dischi che abbiano un tema principale, che non siano una semplice compilazione di brani. Mi sono divertito molto a creare un concept, inventandomi delle storie e dei personaggi.
Per i personaggi del tuo album, Ilaria o Luigi delle Bicocche, ti sei ispirato a persone che realmente hai incontrato sul tuo cammino?
Sono delle figure immaginarie che contengono diversi personaggi accomunati da uno stesso modo di fare, le stesse idee, gli stessi obiettivi.
Sei un cantante ironico e critico, divertente, ma anche impegnato. Come ti vedi nel ruolo di cantante di protesta?
Male perché non sono un cantante di protesta, ma un cantante che protesta. A me più di tutto interessa l’arte, che esercito attraverso temi che mi stanno a cuore. Protestare tramite la musica per me è anche un modo per sedare reazioni dirompenti di altro tipo: di fronte a certe realtà per me intollerabili la prima forma di difesa è cantare. Non mi sento a mio agio nel ruolo di cantante di protesta a tutti i costi, io sono uno che fa la sua musica guardandosi intorno, tutto qui. Com’è cambiata la tua musica nel corso degli anni? Come definisci il tuo genere musicale?
Nel corso degli anni mi sono avvicinato sempre di più alla musica suonata rispetto all’elettronica e al campionamento a cui ero abituato quando ero più giovane. Oggi sono molto più attratto dai suoni delle chitarre, batterie acustiche che poi mischio a quello che è il mio background musicale, quindi mi sto avvicinando, in qualche modo, a una forma di cantautorato.
Sei ancora impegnato nell’aiutare giovani gruppi musicali ad emergere? In cosa consiste il tuo supporto?
Prima di raggiungere la popolarità avevo il tempo di produrre degli album, come fanno anche tanti altri artisti. Quello che faccio adesso è sostenere i nuovi gruppi andando ai loro concerti, parlando con loro, dando qualche consiglio e partecipando alle loro canzoni in maniera totalmente amichevole. Si tratta soprattutto di cantanti molfettesi, baresi o salentini. Diciamo che ho messo il mio zampino un po’ dove potevo.
Tu sei pugliese, ma per un periodo della tua vita hai vissuto a Milano per poi ritornare di nuovo nella tua Molfetta. Com’è andata? Sei scappato da Milano o ci sono altri motivi che ti hanno riportato in Puglia?
Quando ero a Milano a studiare sapevo che sarei tornato in Puglia: è stato solo un soggiorno di studio e non ho mai pensato di trasferirmi. Il mio sogno sarebbe quello che si creasse una realtà importante in Puglia che storicamente è sempre stata una regione di emigranti. Chi se ne va, per forza di cose deve lasciare i luoghi dell’infanzia e gli affetti e quindi è sempre una cosa un po’ triste che a me piacerebbe potesse non avvenire più.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Più che un progetto ho un piccolo sogno che spero di riuscire a realizzare nell’età della ragione. Mi piacerebbe, un po’ come tutti i cantanti, creare una mia etichetta discografica qui in Puglia.
Cosa ne pensi della vittoria di Obama in Usa?
Più che soffermarmi sulla vittoria di Obama, che indubbiamente rappresenta una forma di cambiamento importante, io mi fermo a pensare a questa visione che viene dagli Stati Uniti di una politica molto partecipata, cosa che qui in Italia si sta perdendo perché le persone sono totalmente sfiduciate nei confronti della politica e difficilmente escono di casa per andare a fare file chilometriche davanti ai seggi. C’è stata una grande voglia da parte degli americani di farsi parte attiva di queste elezioni, una voglia probabilmente alimentata dal mondo dell’informazione che ha sottoposto i due candidati a un vero e proprio “torchio” mediatico. Questo da noi non avviene: le elezioni sono molto vicine ad avere solo un effetto soporifero sulla gente.
E della protesta degli studenti qui in Italia? Qual è il tuo punto di vista?
Sono contentissimo che ci siano ancora persone che dimostrano con impegno le proprie idee senza farsi abbindolare. Vedo in questo ancora una visione romantica della realtà per cui sono uno di quelli che appoggia questa timida, ma forte forma di sessantottismo che sta venendo fuori in questo periodo.