martedì 30 giugno 2009

Una spystory a Milano

«Da quando è iniziato il gioco vivo blindato in casa e vado in ufficio in orari assurdi per evitare di essere preso, lavorando tra casa e macchina in appostamenti. Sapevo che avevo Millenarius alle calcagna, e continuavo la mia strategia sapendo che tra casa e ufficio sarebbe stato difficile beccarmi».«Confermo ..un losco ma non ignoto figuro mi ha innaffiata sotto casa…sono stata fregata dall’umore a terra e da un amica in ritardo..in realtà me lo aspettavo..mi stavo giusto guardando intorno quando da una smart scende lui, vestito credo da elettricista». Questi sono solo alcuni stralci dei racconti di ragazzi che hanno partecipato alla scorsa edizione di Spystory a Torino, gioco di ruolo spionaggio che il prossimo 29 giugno approda anche a Milano. Si tratta di un’avventura lunga 21 giorni giocata 24 ore su 24 e combattuta a colpi di pistole ad acqua per le vie cittadine. Versioni precedenti di questo evento sono state giocate anche a New York, Vancouver, Vienna, San Francisco, Los Angeles, Londra, San Diego, Barcellona e Parigi. Costantemente col fiato sospeso, con la missione di eliminare la propria preda ma allo stesso tempo la paura di finir vittima di un agguato teso dal proprio killer! Ventuno giorni di tensione e adrenalina, vissuti nel duplice aspetto di preda e predatore, senza mai la garanzia di essere al sicuro. Nei tre giorni precedenti l’inizio del gioco, ogni giocatore iscritto riceverà il dossier con le informazioni sulla propria preda: nome, foto, email, indirizzi di casa e di lavoro. Lo scopo è uno solo: scovare e colpire con pistole ad acqua o gavettoni la propria preda stando però attenti a non venire eliminati dal proprio predatore. Se riuscirai a compiere la tua missione, da solo o in squadra, la persona che avrai appena colpito ti consegnerà il dossier in suo possesso ed il suo obiettivo diverrà la tua nuova preda. Questo finché, eliminazione dopo eliminazione, non troverai il dossier contenente il tuo nome e la tua foto. Dopo una serie di gelidi agguati, resterà in vita un’unica asciutta spia che si aggiudicherà l’intero bottino di 500 €. Per aspirare alla vittoria bisogna essere schivi, cambiare le proprie abitudini e luoghi di ritrovo per non diventare facili bersagli. Bisogna diffidare di tutti, passanti ma anche amici fidati e stare sempre all’erta: l’agguato può avvenire in qualsiasi momento. L’area di gioco sarà l’intero comune di Milano e le iscrizioni si chiudono il 20 giugno. Per informazioni http://spystory.it

domenica 28 giugno 2009

Un dizionario per Dumbo e Pochaontas

Biancaneve, Topolino, la sirenetta, Bambi. Chi non ricorda con affetto i personaggi dei cartoni animati che hanno accompagnato la nostra infanzia e quella dei nostri figli? Ma mettere ordine nella selva di nomi, storie e titoli non è facile, con una produzione vastissima proveniente dai cinque continenti e che è partita oltre cent’anni fa. E proprio in occasione del centenario della produzione del cartoon Daniel Valentin Simion ha deciso di creare Il Dizionario dei Cartoni Animati che classifica un secolo di storia dell’animazione: un archivio dei ricordi della nostra infanzia, “patrimonio generale dell’umanità”. Oltre 90.000 episodi Animati, in più di 3.000 schede contenenti tutte le informazioni e curiosità appartenenti ai singoli cartoni, tutte le serie italiane e straniere che sono passate sul piccolo, grande schermo e circuito commerciale, provenienti da tutto il mondo e che hanno appassionando generazioni di piccoli e grandi spettatori. Daniel Valentin Simion, prese 8 anni fa la decisione di creare il Dizionario quasi per caso, quando si rese conto che troppi titoli, troppi sequel, troppi remake e troppi spin-off, stavano entrando nel DNA di ogni bambino, adolescente e anche di ogni adulto creando una certa confusione.
Nel libro sono presenti cinque livelli di visione consigliata, determinati da pedagogisti, psichiatri e psicologi. Il Dizionario dei Cartoni Animati, edito da Anton Edizioni, sarà disponibile a un prezzo di 50 euro dal 27 giugno presso le librerie e i rivenditori del circuito Pan Distribuzione del gruppo Panini e su internet all'indirizzo www.criptonet.it.

martedì 23 giugno 2009

Trent’anni di guerra tv e il futuro del piccolo schermo

Trent’anni di guerra tv e dalla rottura del monopolio Rai. Conflitto d’interessi, futuro della televisione, nuove tecnologie nel libro di Franco Debenedetti e Antonio Pilati “La guerra dei 30 anni, politica e televisione in Italia” (Einaudi, 2009). Alla presentazione di Milano, giorni fa, botta e risposta tra Fedele Confalonieri e Walter Veltroni. Quattro quesiti referendari, diciotto sentenze della Corte costituzionale, crisi di governo: per 30 anni, la questione televisiva si è intrecciata con le vicende politiche italiane.
Non è successo in nessun altro Paese occidentale; in nessuno il proprietario di quasi metà dei canali televisivi nazionali si presenta alle elezioni cinque volte in quattordici anni, per tre volte le vince e diventa capo del Governo. Più di trent’anni è durata la «guerra» televisiva. Le sue radici affondano nella critica all’industria culturale. Le sue battaglie sono state parte di un gioco che aveva per posta l’assetto politico del Paese: gli anni Ottanta, l’ascesa del Cavaliere, il formarsi dell’Ulivo e la sua fine con la caduta del Governo Prodi, le leggi Maccanico, Gasparri e Gentiloni, la travagliata esistenza del Pd, il naturale alternarsi dei cicli politici. E, ora, siamo nei giorni scuri in cui alcuni potrebbero perdere fiducia nel futuro del capitalismo.

Da trent’anni la questione televisiva ingombra la scena politica italiana. Può essere piantata come bandiera dell’opposizione al centrodestra berlusconiano. Oppure può essere studiata per capire le cause delle tante anomalie italiane, di cui fa parte.

Il sistema informativo - ha detto Veltroni - non è fondato sull’autonomia. Il sistema è fatto da televisioni private, di cui è proprietario il presidente del Consiglio, e televisioni pubbliche, i cui vertici sono nominati dal presidente del Consiglio”. Non si è fatta attendere la risposta di Confalonieri. “Nessuno può negare - ha spiegato - che ci sia il conflitto di interessi. Ma ci sono persone che ogni cinque anni se ne fregano e lo votano. E’ un paese di cretini?». Secondo Veltroni, però, «non è il voto che consente di fare qualsiasi cosa. E’ un’idea sbagliata dal punto di vista della democrazia“. Il presidente di Mediaset ha replicato che con questa affermazione insulta gli 8mila giornalisti italiani. “Io i giornalisti li difendo - ha risposto l’esponente del Pd - ma esiste il problema che si sente un po’ una cappa di piombo in tv”. Poi, a chi gli ha chiesto se ritenga possibile trovare una soluzione al conflitto d’interessi, Veltroni ha risposto “sì” e, parlando dell’autonomia del sistema, ha sottolineato “che non si può essere giocatori e arbitri. Se le regole sono fissate da un giocatore, la partita è falsata“.

Ritornando al tema della guerra mediatica Confalonieri ha affermato: “La concorrenza è finita perché la tecnologia ha spostato il campo. Oggi c’è la tv digitale, il satellite, internet ma ci vogliono delle nuove regole dettate soprattutto dalla tecnologia. Inoltre -ha proseguito- c’è Murdoch che è l’editore più forte del mondo, ha i più grandi giornali del mondo e ha capito prima di tutti cosa fosse la pay tv. Il futuro è questo e bisognerà attrezzarsi, assecondare la tecnologia senza però dimenticare che prima di tutto ci sono i contenuti“.

Veltroni ha sottolineato come vi sia però una lettura particolare che va in un’unica direzione in questo passaggio complesso della televisione, un passaggio, ha detto che “si sta configurando con un pensiero unico. Mi rendo conto di quanto potesse essere dura nel periodo della egemonia del centrosinistra per gli esponenti di destra e oggi ci troviamo nella situazione opposta. Detto questo però dal punto di vista del paese la rottura del monopolio televisivo è stato un fatto positivo perché le tv locali sono state una grande ricchezza“.

Antonio Pilati (Milano 1947), componente dell’Autorità garante della Concorrenza e del mercato. Già direttore dell’Istituto di economia dei Media della Fondazione Rosselli. Ha pubblicato Il legame spezzato. Cittadini e politica (Ideazione Editrice, Roma 2003), La fabbrica delle idee (Baskerville, Bologna 2000) e ha curato Economia della conoscenza (il Mulino, Bologna 2005). Per Einaudi ha pubblicato, con Franco Debenedetti, La guerra dei trent’anni. Politica e televisione in Italia 1975-2008 (2009).

Franco Debenedetti (Torino 1933), ingegnere, trentacinque anni nell’industria (Cir, Fiat, Olivetti), poi senatore con il centrosinistra per tre legislature. Ha pubblicato Sappia la Destra (Baldini Castoldi Dalai, Milano 2001), Grazie Silvio (Mondadori, Milano 2006), Quarantacinque percento (Rubbettino, Soveria Mannelli 2007) e ha curato Non basta dire No (Mondadori, Milano 2002). Scrive su diversi giornali italiani. Per Einaudi ha pubblicato, con Antonio Pilati, La guerra dei trent’anni. Politica e televisione in Italia 1975-2008 (2009).

http://www.ilrecensore.com/wp2/2009/06/trentanni-di-guerra-tv-e-il-futuro-del-piccolo-schermo/

lunedì 22 giugno 2009

Take off

(17 aprile 2009)
Cinque stili, cinque giovani artisti, cinque interpretazioni della realtà, un’unica cornice. Nei suggestivi e ampi spazi ex-industriali della Fabbrica Borroni di Bollate (Mi) è ospitata dal 17 aprile al 10 maggio, l’esposizione “Take Off”che riunisce le opere di cinque artisti trentenni, tra i più geniali nella scena contemporanea italiana. La mostra non ha lo scopo, come spesso accade, di dare espressioni diverse e personali a un tema specifico, ma vuole essere il trampolino di lancio di artisti emergenti che hanno avuto la possibilità di presentare cinque personali esponendo i propri lavori in totale libertà. Questo ha permesso alla creatività di ciascuno di essere trasmessa all’occhio e all’anima dello spettatore con potenza massima. Alessandro Brighetti, Desiderio, Fabiano Parisi, Felipe Cardeňa e Svitlana Grebenyuk sono i protagonisti di “Take Off”, mostra curata da Chiara Canali, in cui si alternano quadri, installazioni, collage, videoproiezioni e suoni. Avvicinare cinque personalità e tecniche così diverse significa indagare nelle nuove prospettive dell’arte contemporanea che trova le sue nuove forme nell’interazione tra generi.
L’esposizione di Alessandro Brighetti è intitolata “God Alter Ego” e attraverso enormi wall drowings cerca di raccontare l’idea dell’uomo come dio del proprio mondo. La compenetrazione di arte e scienza, l’accostamento di pittura e collage, non vogliono esprimere una critica negativa, ma una presa di coscienza di come l’uomo può elevarsi a Dio per mezzo della ricerca e di scoperte tecnologiche che danno la possibilità di progredire a partire dalle basi date dalla natura. Per questo Brighetti ci mostra una grande zoomata al microscopio di un’arteria umana in cui decine di gru lavorano con assiduità oppure un enorme vetrino istologico per un’osservazione da laboratorio. Anche l’inversione delle dimensioni, dunque, per spiegare come l’uomo, da microscopico microcosmo, possa trasformarsi in demiurgo.
La sala dedicata all’esposizione di Desiderio e chiamata “Atomic Racket” è sicuramente la più inquietante. Pitture e suoni diventano un tutt’uno spaventoso di cui i bambini sono tristi protagonisti. Situazioni perfettamente normali racchiudono particolari destabilizzanti che spaventano e straniano fortemente. Un grande quadro che rappresenta una classe di bambini in grembiule bianco, nasconde un ragazzino con due teste e una suora con la faccia di un robot: non un sorriso, solo tristezza negli occhi di tutti. Tristi ricordi dell’epoca di Chernobyl. Così come i grandi ritratti di bimbi che portano in braccio animali abnormi e deformati. La bambina dallo sguardo tranquillo accostata a un enorme e spaventoso aneroide di lamiera racconta una necessità di proiezione verso il futuro e una voglia di esistenza al di là di una normalità ricercata e purtroppo impossibile da raggiungere.
Fabiano Parisi con “Still Life” arricchisce la sua già importante collezione “Residui industriali e umani”. Una serie di desolanti stampe fotografiche in tecnica mista e resina su ferro, incorniciati e sulle quali l’artista interviene con la pittura. L’idea è quella di dare nuova vita all’abbandono di vecchi spazi industriali in cui i giochi di luci e colori creano una nuova freschezza, ma anche un opprimente senso di statico vuoto. Attraverso le fabbriche svuotate di significato è forse possibile cogliere l’eco della vita e delle vite e delle storie che le hanno attraversate nel tempo.
Tutt’altra atmosfera si respira nella sala dedicata a Felipe Carena che si presenta con “The Black Dahlia”. Colori e fiori sono l’elemento dominante dei suoi collages, ma ogni opera ha un protagonista diverso. Questa collezione è dedicata alla detective story d’autore con collage dedicati a protagonisti che potrebbero provenire dalle più rinomate storie poliziesche degli anni Trenta e Quaranta. Una serie di potenziali assassine dagli occhi penetranti e dal sorriso ammaliante o anche modelle e attrici finite per un crudele scherzo del destino come vittime sacrificali di un delitto premeditato.
La maggior parte dei personaggi dipinti da Svitlana Grebenyuk, invece, è rappresentata da uomini senza volto. Nell’esposizione “Ultima Traccia” l’artista racconta un percorso personale dall’esplosione dei colori e dalla definizione dei tratti, alla ricerca minimale in bianco e nero nella descrizione dei protagonisti. Da paesaggi e personaggi rappresentati come in una fotografia, si arriva al racconto tramite linee essenziali, con l’utilizzo di pochi, semplici particolari utili alla descrizione del soggetto, che, tuttavia, non perde la sua potenza emotiva. Anzi, la sensazione di mancanza, di vuoto, di necessità di creazione personale dello spettatore, dona nuova forza espressiva ai quadri della Grebenyuk.

L'arte fatta di timbri di Reena Saini Kallat

Sembrano dei normalissimi ritratti di donne, uomini, bambini indiani. Ma a guardarli più da vicino si scopre che non è così. Centinaia di timbri compongono questi enormi disegni che osservati con attenzione sembrano essere formati da grandi circuiti elettrici. L’originale idea è venuta a Reena Saini Kallat, giovane artista indiana che ha presentato la sua prima personale europea presso il Primo Marella Gallery di Milano. La serie dei Synonyms raccoglie numerosi ritratti composti da diverse centinaia di timbri differenti per colore e matrice. I timbri trascrivono, con oltre quattordici alfabeti diversi della lingua indiana, i nomi di coloro che sono registrati come dispersi nelle varie regioni dell’India. Scomparsi a causa di calamità naturali, inondazioni, terremoti, alluvioni, ma anche per rivolte e incidenti di massa, rapiti o fuggitivi di cui la polizia ha perso ogni traccia. Ci sono persone che paiono scivolate fuori dal radar della comunicazione umana, sganciate dalla rete di sicurezza sociale. Il ritratto di un cittadino del sub-continente è formato da molti di questi nomi. Il retro di ogni Synonym appare come un mare di identità invisibili. Mattoncini su mattoncini colorati che assumono un significato nominale da vicino e uno pittorico da lontano. Come a voler spiegare allo spettatore che l’unità identitaria, indiana in questo caso, è possibile solo tramite una presa di coscienza collettiva, uno sguardo a volo d’uccello sul totale. Solo così è possibile comprendere la complessità di un Paese come l’India, in cui differenze etniche e linguistiche si mescolano con l’eterogeneità dei paesaggi e delle culture. Trovarsi davanti a questi enormi ritratti regala una duplice sensazione di stupore e smarrimento. Si resta completamente avvolti dal colore e dalla perfezione dell’immagine creata e viene voglia di esplorarla nel dettaglio, ma quando si cerca di fare ciò ci si perde nella frammentazione creata dai tasselli multicolore.
Esplorando la seconda parte della mostra di Reena Saini Kallat, si resta, se possibile, ancora più stupiti. L’opera che colpisce maggiormente è “The ironing board”, una scultura stavolta. Si tratta di un abnorme asse da stiro con un ferro assolutamente incapace di assolvere alla sua tradizionale funzione: diverse protuberanze, infatti, sporgono dalla base rendendolo inservibile. Ci sono armi, tetti di edifici religiosi, oggetti simili ai pezzi degli scacchi. La scultura vuole essere un riferimento alla stretta relazione, spesso conflittuale, che l’India mantiene con il confinante Pakistan. Due nazioni da sempre incompatibili, ma alla ricerca di un processo di pacificazione. Sul drappo che si trova sotto il ferro da stiro, infatti, sono ricamati i nomi di tutti coloro che hanno firmato la petizione di pace tra India e Pakistan, oltre al disegno di mappe che rappresentano territori contesi tra i due Stati, un’immagine ricorrente nelle opere dell’artista. Reena Saini Kallat utilizza le mappe come simbolo per criticare la stupidità umana nel mondo, senza volersi limitare alla realtà indiana. Il messaggio che traspare è pessimista: un ferro da stiro che non può essere usato per appianare le pieghe del drappo, come a voler suggerire un’impossibilità di sedare i contrasti.

martedì 16 giugno 2009

I tabù della letteratura erotica. La passione scorre tra le pagine

Siamo nel 2009, eppure la letteratura erotica è ancora un tabù. Sono stati fatti passi da gigante rispetto ai primi romanzi anni ‘70, ma i libri erotici incontrano ancora qualche difficoltà. Scopriamo perchè.
In passato la letteratura erotica ha avuto diffusione limitata, sia per l’imbarazzo di ammettere il possesso di un libro di quel genere sia per la vergogna dell’acquisto in libreria. Ora il settore comincia a rialzarsi. Poi la cultura televisiva l’ha riabilitata e successivamente sdoganata come lettura psicologica, allentando quell’alone di proibito che aleggiava tra le sue pagine. A questo punto i romanzi erotici del passato non rappresentavano più a pieno titolo l’immaginario di donne e uomini dei nostri tempi e, con l’avvento di internet, sono prolificati portali di ogni genere che raccoglievano i racconti personali dei nuovi autori di questo filone. Ora che l’offerta è così vasta e facilmente fruibile in modo totalmente anonimo, ci si è accorti che i numeri statistici di questo filone sono aumentati a dismisura per quanto riguarda la lettura online, a differenza dei formati cartacei che continuano ad arrancare.

A livello di libri il caso eclatante è stato quello di Catherine Millet, scrittrice francese che nel suo “Vita sessuale di Catherine M.” (Mondadori, 2002) descriveva senza remore le sue abitudini sessuali. Il libro andò a ruba. In Italia la pietra dello scandalo fu Melissa P., che nel suo “100 colpi di spazzola prima di andare a dormire” (Fazi, 2003) mette a nudo le sue esperienze sessuali di adolescente, con un’innocenza quasi disarmante. Non meno esplicito il romanzo sadomaso “L’uomo che mi lava” di Valentina Maran (Piemme, 2006).

Due anni fa (edito da Sonzogno, 2007) “Il dolce veleno dello scorpione“, libro-testimonianza di Bruna Surfistinha. E’ il diario di un’adolescente brasiliana, squillo d’alto bordo pur senza averne necessità economica. Nato da un blog tenuto dalla ragazza, è uno dei casi, sempre più frequenti, in cui il web diventa veicolo di contenuti per la carta stampata. Bruna (pseudonimo della ragazza) sceglie la prostituzione come mezzo per uscire dalla schiavitù della famiglia e quindi come affermazione della libertà.

Un tema dominante nella letteratura erotica femminile, le cui autrici hanno fatto del sesso il modo per affrancarsi dalla schiavitù della vita quotidiana e per dimostrare la propria indipendenza. Ma se negli anni Settanta, quando la donna stava lottando per ottenere i propri diritti, scrivere romanzi erotici femminili aveva un senso, una sorta di liberazione da una schiavitù durata secoli, oggi la sovraesposizione mediatica delle parti intime femminili ha svuotato questi contenuti di qualsiasi significato erotico. Parlarne non dà più scandalo, anzi, risponde a un cliché ormai superato. Non c’è più mistero, tutto è reso esplicito da televisione, cinema, carta stampata e web.

“Posh porn” è l’espressione con cui viene definito un nuovo filone di letteratura erotica.. Una definizione che ben caratterizza lo spirito alla base di una letteratura che nulla ha a che vedere con gli slanci realisticamente passionali delle scrittrici degli anni Settanta. Fredde e distaccate, scrittrici e protagoniste di questi nuovi romanzi vivono il rapporto sessuale con un cinismo calcolato e privo di partecipazione emotiva. Sanno quello che vogliono e hanno intenzione di raggiungerlo il prima possibile, senza fronzoli inutili ad accompagnarlo.
http://www.ilrecensore.com/wp2/2009/06/i-tabu-della-letteratura-erotica-la-passione-scorre-tra-le-pagine/

domenica 14 giugno 2009

Mimetismo da supermercato

Se ne stanno lì, nei supermercati, nei negozi di casalinghi o fai-da-te, nei megastore urbani e perfino all’Ikea. Gli acquirenti passano loro vicino, spesso li sfiorano e li toccano senza nemmeno accorgersi della loro presenza. Sembra essere questa l’ultima moda/provocazione proveniente dalla Germania: il mimetismo da supermercato. Uomini che si ricoprono dalla testa ai piedi di copertine colorate e si confondono nel reparto cartoleria del centro commerciale più rinomato di Berlino, oppure completamente nascosti da decine di scatoloni nel magazzino dell’Ikea, infine persone totalmente sommerse di sacchettoni gialli, invisibili tra i cestoni che li contengono. Su You Tube sono stati diffusi alcuni video che testimoniano la curiosa iniziativa e le reazioni, o meglio le non reazioni, di passanti e acquirenti che, assolutamente ignari della presenza di questi strani personaggi, continuano indisturbati la ricerca dei propri prodotti preferiti. Capita di voler fare un giro al centro commerciale o ai grandi magazzini senza essere visti (capita sempre di incontrare qualcuno che conosci, soprattutto all’Ikea e proprio mentre provi i materassi e i divani simulando antiestetiche pennichelle pomeridiane): in tal caso conviene copiare l’idea di questi tizi tedeschi che vanno nei nonluoghi del consumo con una tuta mimetica adatta all’occasione. Ma dietro quest’idea, forse, c’è più di una divertente iniziativa, di una bravata di qualche giovane tedesco annoiato dalla routine quotidiana. Un tentativo di protesta che riecheggia in modo soft, moderno e curioso, la disapprovazione nei confronti del consumismo di massa, contro l’acquisto di merce uguale per tutti e contro l’omologazione che necessariamente le grandi catene di negozi impongono in tutto il mondo. Si cerca di esprimere il dispiacere e la paura della sparizione dei prodotti tipici nazionali, dall’oggetto di arredo alla merce da supermarket che genera necessariamente una modifica delle abitudini e la dissoluzione del localismo.
Il mimetismo urbano, tuttavia, è una realtà da qualche tempo sdoganata nel mondo dell’arte e del design. Già la designer e stilista giapponese Aya Tsukioka, 29 anni, aveva creato una gonna che in un attimo si trasforma in una macchina per la vendita di Coca-Cola, permettendo di confondersi perfettamente con il paesaggio urbano. Basta alzare un lembo della gonna e tenerlo sollevato all’altezza della testa (possibilmente senza tremare), accostarsi a un muro e aspettare che il malintenzionato di turno passi oltre senza notare chi si cela dietro il travestimento. Sulla parte interna della gonna è infatti stampata la facciata di un distributore automatico, e il camuffamento è estremamente credibile. Un altro curioso esempio di mimetismo da strada è stato pensato dalla designer Tsukioka per tutelare i bambini per le sempre più pericolose vie delle grandi metropoli: l’accessorio in questione è uno zaino estensibile che, all’occasione, può tramutarsi e assumere le apparenze di un idrante o di una cassetta per le lettere, così da permettere al pargolo in pericolo di sfuggire a bulli e criminali semplicemente mascherandosi da arredo urbano. L’ultimo esempio di accessorio camaleontico è la borsa ultrapiatta che si mimetizza con la strada, e per la precisione con un tombino delle fognature: basterà appoggiarla a terra e lo scippatore che vorrebbe derubarvi non noterà assolutamente la borsa né il suo contenuto.

http://www.youtube.com/watch?v=RH2XsAkjYw0

Il cane, migliore amico dei vip

Paris Hilton dopo aver lasciato Benji Madden si era ripromessa di rimanere single per almeno un anno. ma dopo soli tre mesi si è lasciata conquistare dalla stella del baseball Doug Reinhardt che per rubare il cuore della bionda ereditiera le ha regalato un cagnolino teacup di Pomerania dal valore di 10000 dollari. Un dono quanto mai azzeccato per lei che di cani ne ha già tre. Più o meno costosi, più o meno agghindati, ma tutti inevitabilmente vip. Sono loro, la banda degli amici a quattro zampe delle celebrità americane. Amano il loro cucciolo spesso più del partner, li vestono con cappottini e trench di marca abbinati ai propri, se li portano ovunque, anche in albergo se possibile. E’ questo il caso di chi ha scelto un animale di taglia piccola come Sharon Stone che il suo bassotto se lo porta anche all'Hotel Ritz di Parigi, così come per Mischa Barton, con il suo cagnolino Ziggy e per Rihanna e il suo barboncino Ramon. Poi c’è Jessica Simpson con la sua Daisy, un incrocio tra un maltese ed un barboncino, un mix di razze particolarmente adatto alle persone allergiche al pelo animale come lei. Tra i vip a cui piace agghindare il proprio piccolo amico come una Bratz si può segnalare Mariah Carey che nel guardaroba del suo Jack Russel può vantare anche una mini-tenuta da sci per proteggersi dal freddo. Jessica Alba invece preferisce puntare sui dettagli con guinzagli luccicosi e pieni di campanellini per il suo carlino Sid. Britney Spears di cani ne ha due: un maltese, di nome Lacy, al quale si diverte a creare simpatiche acconciature e un chihuahua, Bit Bit. Tutt’altro discorso per quanto riguarda i cani di Julia Roberts e il suo cagnone nero, Drew Barrymore e il suo Flossie color crema, Orlando Bloom con Sidi e John Legend con il suo pitbull. Sarebbe forse troppo complicato convincere cani di quella taglia a indossare cappottini e gingilli. Termina la rassegna Brigitte Bardot che a differenza dei suoi colleghi ama circondarsi di gatti di ogni razza: forse meno giocherelloni, ma ugualmente teneri e scenografici.

Libri e blog pro anoressia: filosofie che distruggono

Foto di donne magrissime, consigli per imparare a vomitare con semplicità, regole da seguire per imparare a digiunare, esaltazione di modelle anoressiche sono i temi prediletti di questi blog e libri. Si chiamano pro-ana e invitano alla magrezza assoluta come filosofia di vita.

“Magre da morire” Maria Letizia Perri (Aliberti) e “La ragazza che non voleva crescere” di Isabelle Caro (Cairo editore) sono solo gli ultimi due delle centinaia di libri che ogni anno vengono sfornati sull’argomento anoressia-bulimia. Per la maggior parte si tratta di autobiografie con lo scopo di testimoniare una malattia da troppi sottovalutata e cercare di far capire quanto posso diventare pericolosa, quanto possa trasformarsi in un vortice mortale, ma soprattutto quanto sia una malattia dell’amore e non della bilancia. Ma il disturbo alimentare non è solo visto in questa chiave, per così dire, “positivista”.

Esistono sulla rete numerosissimi blog pro-ana e pro-mia e anche qualche libro:“Vale ana” di Martita Fardin (Eliot) è uno dei pochi. Non è facile scovare siti sulla rete perché se scoperti vengono immediatamente oscurati, ma basta essere degli abili navigatori di Google e conoscere un minimo di inglese per trovarne a bizzeffe. Si tratta di comunità reali e virtuali che esaltano le dee Ana (dea dell’anoressia) e Mia (dea della bulimia): in pratica la religione del non mangiare. Pullulano testimonianze che esaltano l'esperienza di non nutrirsi, di vedersi sempre più magri, e ci si scambia commenti, foto e complimenti reciproci sui “traguardi” raggiunti, a volte senza ritorno.

“Buongiorno ragazze! mi sono appena pesata prima di far colazione e sto a 48...ieri ero a 47.5...mi sento enorme perchè la sera non riesco a non mangiare come vorrei...ho anke comprato full fast spray per la fame nervosa...” “Non ti preoccupare, ecco cosa devi fare quando ti viene fame: pensa a qualcosa di schifoso, tipo pulire il water o la lettiera del gatto”. Questi sono solo alcuni esempi dei consigli dispensati su blog, forum e community.

Proprio come se fosse una religione, le pro-ana si sono create anche 10 incredibili comandamenti da seguire rigorosamente. 1) Se non sei magra, non sei attraente; 2) Essere magri e' piu' importante che essere sani; 3) Compra dei vestiti, tagliati i capelli, prendi dei lassativi, muori di fame, fai di tutto per sembrare più magra; 4) Non puoi mangiare senza sentirti colpevole; 5) Non puoi mangiare cibo Ingrassante senza punirti dopo; 6) Devi contare le calorie e ridurne l’ assunzione di conseguenza; 7) Quello che dice la bilancia è la cosa più importante; Perdere peso è bene, guadagnare peso è male; 9) Non sarai mai troppo magra; 10) Essere magri e non mangiare sono simbolo di vera forza di volontà e autocontrollo.

La “moda” delle pro Ana e pro Mia è nata negli Stati Uniti e si calcola che oggi in America siano quasi 11 milioni le persone (99% donne tra i 12 e 40 anni) influenzate dal movimento e dall’ostentazione di un certo modo di apparire.Oggi in Italia sono due milioni i malati di anoressia, un decimo dei quali maschio (un dato in crescita), e un aumento dell’incidenza dei disturbi del comportamento alimentare nella fascia femminile tra i 12 e i 25 anni. Tutto questo può far parlare di una vera e propria epidemia sociale
http://www.ilrecensore.com/wp2/2009/06/in-aumento-libri-pro-anoressia-filosofie-che-distruggono/

Con Scribd l'e-book risale la china. Intervista a Bruno Editore

Nonostante la difficoltà della gente di accettare di leggere un libro su supporto digitale, numerose iniziative stanno rendendo l’ebook sempre più popolare. L’ultima è una piattaforma online su Scribd dove comprare e vendere libri elettronici risparmiando.

Il destino del libro nell’era digitale è stato, negli anni, più che mai controverso. Mentre per la musica, i video, i film si è assistito allo scardinamento più o meno totale dei modelli di vendita tradizionali e alla nascita di nuove forme di distribuzione digitale (dai file Mp3 a iTunes, dalle reti P2p a YouTube), fino a poco tempo fa l’editoria sembrava essere una sorta di roccaforte inespugnabile e impermeabile a processo di digitalizzazione di massa. Finora non si era ancora riusciti a coniugare gli interessi degli editori all’utilizzo di nuove tecnologie in modo profittevole anche per l’utente. Eppure qualcosa si muove. Piccoli passi positivi sembrano essere stati fatti su più fronti. A partire dall’editoria online per la scuola, con il ministro Gelmini che ha dato la sua benedizione ai testi scolastici scaricabili da intenet raggiungendo il duplice obiettivo di ridurre i costi e alleggerire gli zainetti. Tra gli editori di ebook scolastici, Bruno Editore è di certo il più quotato sul mercato e punto di riferimento per gli editori tradizionali interessati a sperimentare il formato elettronico e un nuovo modello di business. «Sono un appassionato di formazione e negli ultimi cinque anni ho letto circa duemila libri su questo argomento – racconta Giacomo Bruno di Bruno Editore – e navigando in internet alla ricerca di testi americani mi sono imbattuto in una sorta di ebook, così mi è nata l’idea di importare lo stesso concetto in Italia». Inizialmente la Bruno Editore commercializza solo testi e video propri, con il passare del tempo e il successo ottenuto, diversi autori hanno voluto appoggiarsi all’azienda fino a farla diventare leader nel settore. Altro step verso la fortuna dell’ebook è la genialata di Amazon che ha messo in commercio i dispositivi Kindle e Kindle 2, dispositivi portatili e senza fili per scaricare e leggere documenti, pdf e libri elettronici. Un’analoga applicazione per iPhone, poi, è stata immessa nel mercato dalla Apple, cosicché sarà possibile leggere il nostro romanzo preferito direttamente sul telefonino. Ultima trovata, in ordine di tempo, che dovrebbe contribuire al decollo dell’editoria online è l’idea di Scribd. Il noto social network per la condivisione libera di documenti online (lo YouTube dei documenti), propone ai suoi utenti un’importante novità, che dovrebbe risolvere anche le varie questioni legate al diritto d’autore, nelle quali il servizio è stato coinvolto in passato. Si tratta di una piattaforma per l’e-commerce, che ha costituito un vero e proprio store, in cui è possibile vendere e acquistare gli ebook. «Scribd è una sorta di Youtube di file e ebook. Per questo ritengo che sia un prezioso strumento di
viral marketing – spiega Giacomo Bruno - che possa far circolare le idee in cui crediamo. Ho visto
pubblicati molti degli ebook free e dei capitoli 1 che distribuiamo gratuitamente attraverso il sito di Bruno Editore. Questo aumenta la diffusione del nostro marchio e delle basi della formazione personale, professionale e finanziaria. E' anche uno straordinario strumento per creare e diffondere la cultura dell'ebook, in modo che le persone si abituino a leggere su schermo, con un grande risparmio di carta». Ogni autore ha la possibilità di realizzare un proprio profilo e può mettere in vendita la sua opera attraverso il Web sotto forma di ebook, in vari formati. Ognuno può fissare un determinato prezzo per la propria opera, beneficiare della “vendita diretta”, bypassando gli editori e le vie tradizionali di commercializzazione dei libri, potendo raggiungere in questo modo più rapidamente il mercato (in alcuni casi con maggiori guadagni). I lettori, dal canto loro, possono accedere a tanti libri a prezzi ridotti. L’autore percepirà l’80% di guadagno, in base al prezzo del libro, e Scribd tratterrà il 20%. Le possibilità per gli acquirenti sono molte: acquistare l’opera intera o solo alcuni capitoli o abbonarsi a un’opera le cui pubblicazioni avvengono in serie.
http://www.ilrecensore.com/wp2/2009/05/con-scribd-ebook-risale-la-china/

Disarmati dalla mafia: tra connivenza e convivenza

“La lotta alla mafia unisce solo i morti. I vivi li divide tra chi la fa e chi la lascia fare agli altri”. Questa non è solo una frase provocatoria stampata in stampatello sul retro di un libro, una frase ad effetto messa lì per colpire. Questa frase racchiude con poche parole tutto il profondo significato del nuovo libro di Claudio Fava, I Disarmati, presentato mercoledì scorso presso la Feltrinelli di piazza Duomo a Milano. “I Disarmati – spiega il giornalista e politico autore del libro – è un titolo ingannevole perché fa pensare che ci troviamo pessimisticamente disarmati nei confronti della mafia. Invece io ho voluto raccontare di tutta quella gran fetta di popolazione che decide volontariamente di lasciarsi disarmare dalla mafia, di chiudersi nel guscio di omertà che essa impone, di scegliere la convenienza piuttosto che la legalità”. “La ricerca di Fava – spiega il giornalista Gianni Barbacetto, presente all’incontro – non vuole solo parlare di mafia, ma soprattutto vuole proporre un ragionamento sull’antimafia. Dopo anni in cui di questi argomenti non si poteva nemmeno parlare, credo che oggi si sia raggiunta una distanza tale per poterci fare delle serie riflessioni”.

C’è un’antimafia di cose fatte, conquistate, volute con ostinazione. Ma c’è anche l’antimafia delle occasioni perdute, di chi ha voltato le spalle a se stesso, ha svenduto il mestiere e la faccia. Di solito si racconta la prima, con i suoi eroi, i suoi martiri, le buone intenzioni. Per la prima volta questo libro racconta la verità sugli errori, le ingenuità, le viltà di chi avrebbe dovuto e potuto fare, ma ha preferito non fare. I Disarmati perlustra le terre di mezzo, le infinite zone grigie della contiguità e della compiacenza che hanno imbavagliato l’antimafia e reso possibile, quando non favorito, la mafia. Un viaggio che racconta i complici del silenzio e del consociativismo mafioso: nel giornalismo, nella politica, nella società civile. Per una volta, con i nomi e i cognomi al loro posto. Non mancano i ritratti di incredibile forza emotiva e collettiva di chi la propria battaglia l’ha combattuta e la combatte ogni giorno fino in fondo (dai grandi magistrati antimafia, ai giornalisti uccisi per amore della verità, fino agli imprenditori-coraggio), che sono evocati come la cifra di una terra che non si arrende e non si adegua.

Claudio Fava riesce ancora a indignarsi nei confronti di un sistema silenzioso che assorbe tutto e che avrebbe potuto assorbire anche lui. I Disarmati è un viaggio in Sicilia, a Palermo, a Catania, con qualche capatina negli uffici romani che contano, magari dei partiti della sinistra. Demolisce con fredda brutalità due dei più grandi quotidiani siciliani: il Giornale di Sicilia e La Sicilia. Entrambi fondati e gestiti da famiglie che non hanno mai disprezzato amicizie mafiose, frequentazioni massoniche e fotografie accanto ai boss. Un viaggio che racconta di fatti e persone, nomi e cognomi, colpevoli e colpiti, ma senza pietismo e falsi moralismi. Solo fatti nudi e crudi. Puro lavoro di denuncia giornalistica che si astiene dai giudizi perché di fronte a pizzi, regolamenti di conti, intrecci tra mafia e giornalismo, politica e magistratura ogni commento lascia il tempo che trova.Al giornalista Mario Francese il tesserino da pubblicista viene dato dopo essere stato ucciso da sicari mafiosi. Riconoscimenti sì, ma di indagini manco l’ombra. Troppo per un ragazzino di 13 anni, Giuseppe Francese, figlio del giornalista che non appena raggiunta l’età della ragione sceglie di intraprendere la professione del padre e di indagare sui suoi assassini. Il suo lavoro di ricerca costerà l’ergastolo per dodici persone. Così nel 2002 Giuseppe Francese scrive nel suo diario “Adesso il mio lavoro è finito” e si uccide. Storie di persone coraggiose costrette a combattere quotidiane battaglie solitarie, spesso derisi e guardati come alieni, storie di chi ha scelto la via più semplice e fa affari con la mafia alimentando quella che non è più solo un’organizzazione criminale, ma un vero sistema di potere infinitamente influente nel nostro territorio. Fava torna agli anni 80, dopo l’eccidio di Dalla Chiesa, della moglie e dell’agente di scorta. Rivede quei corpi e ricorda gli anni del coordinamento antimafia, messo in piedi dai giovani che affrontarono Sciascia dandogli del "quaraquaquà" quando attaccò Borsellino dalle colonne del Corriere della Sera. Ricorda e non nasconde le enormi contraddizioni dei leader, da Orlando che sparò (verbalmente) contro Falcone, mirando in alto, a Carmine Mancuso, il figlio del poliziotto Lenin ammazzato da cosa nostra; il Carmine passato dall’antimafia militante alle file di Forza Italia, che forse con i soldi della mafia fu costituita. Parla dell’ involuzione del Partito Comunista Italiano, che dall’intransigenza legalitaria che portò sulla croce Pio La Torre abdicò completamente alla lotta alla mafia, passando il comando a dirigenti indegni come Michelangelo Russo. Il tutto in nome di un immotivata frenesia di progresso, un progresso fittizio e a beneficio dei mafiosi. E dei loro amici. Per non parlare della squallida e orgogliosa confessione di uno dei fondatori del Pci siciliano, Napoleone Colajanni: “i soldi degli appalti li presi anch’io quando ero segretario della federazione di Palermo. Ma c’erano tre regole: non mettersi una lira in tasca, non dare nulla in cambio e non farsi beccare”. La Sicilia di quegli anni era un bestiario in cui entra a pieno titolo Sergio D'Antoni, ex segretario della Cisl, candidato alle europee con il Pd: "Se lottare per i lavoratori vuol dire essere mafiosi allora viva la mafia" scandiva di fronte alla bara di cartone di Orlando che i lavoratori delle aziende colluse bloccate dal sindaco di Palermo portavano in corteo. Dietro di lui annuiva Raffaele Bonanni. Lui come molti altri.

“Alla fine del libro al lettore viene da porsi una domanda – commenta il magistrato Armando Spataro -: questi giudici, giornalisti, politici corrotti e invischiati nelle maglie mafiose, a distanza di anni, avranno avuto qualche ripensamento sulla propria condotta? Si saranno chiesti quanto l’intermittenza di atteggiamenti nei confronti dei cittadini, il tradimento della fiducia accordata loro dalla gente, possa aver contribuito a rendere marcio il nostro Paese?”
http://www.ilrecensore.com/wp2/2009/05/i-disarmati-dalla-mafia-tra-convenienza-e-connivenza/

La nuova stagione del Carcano tra tradizione e novità

Un calendario quanto mai ricco e variegato quello del teatro Carcano che anche quest’anno propone una stagione piena di novità e iniziative interessanti. A presentare i prossimi spettacoli ai fedelissimi ci hanno pensato Riccardo Pastorello, che si occupa della produzione, insieme al Direttore Artistico Giulio Bosetti, Nicoletta Rizzato, amministratrice del teatro e diversi protagonisti che daranno vita agli eventi a partire dal prossimo autunno. Sono previsti grandi classici, novità assolute, drammi, commedie e spettacoli per i più giovani. Si parte alla grande con “Molto rumore per nulla” (dal 7 al 18 ottobre) di William Shakespeare in un allestimento particolare e recitato da giovani attori: il risultato di un laboratorio teatrale che racchiude i temi chiave della produzione del commediografo inglese. Si passa poi a “Mistero Buffo” (dal 22 al 25 ottobre) interpretato da Mario Pirovano, erede ideale di Dario Fo e “La professione della signora Warren” (dal 28 ottobre all’8 novembre) di G.B. Shaw introducendo il tema della prostituzione e delle case di tolleranza. “L’attore” (dall’11 al 22 novembre) di Mario Soldati è tratto da un romanzo da sempre amato da Giulio Bosetti e che ha curato la regia di questa vicenda di arte, amicizia e amore. Si alternano i grandi classici come “Sei personaggi in cerca d’autore” (dal 13 al 25 aprile) e “Il giuoco delle parti” (dal 13 al 24 gennaio) di Pirandello, “La Locandiera” (dal 23 febbraio al 7 marzo), “My fair lady” (dal 18 al 21 febbraio) e “Platonov” (dal 9 al 20 dicembre), al balletto di Mosca che presenterà “Il lago dei Cigni” (31 dicembre e primo gennaio) e “Coppelia” (2 e 3 gennaio). E poi ancora danza con il Balletto di Milano e “Red Passion” (dal 25 al 28 marzo) per poi passare alla commedia con Lella Costa che interpreterà uno spettacolo tutto al femminile e femminista dal titolo “Ragazze” (dal 27 gennaio al 14 febbraio) e Ottavia Piccolo che con “La commedia di Candido” (dal 10 al 21 marzo) prende in giro i padri della filosofia del settecento, da Rousseau a Voltaire a Dalembert, Carlo Giuffrè, poi, cura la regia di “I casi sono due” (dal 28 aprile al 9 maggio) di Armando Curcio. “Pippi calze lunghe” (dal 24 al 29 novembre), infine, è uno spettacolo musicale nato da un’idea di Gigi Proietti, uno show per famiglie diretto da Fabrizio Angelini che ha già riscosso molto successo a Roma. Verranno riproposte le iniziative culturali dello scorso anno, “Teatro in matematica”, progetto per le scuole che porta sul palco temi matematici e “Progetto miti” che in questa stagione si concentra sulle eroine di Euripide. “Nonostante la crisi e il taglio di fondi che lo Stato ha previsto per il teatro – ha spiegato Nicoletta Rizzato – il Carcano resiste grazie all’affetto del suo pubblico. Negli ultimi anni, infatti, siamo arrivati ad avere oltre 90mila spettatori e raddoppiato lo staff. Siamo sicuri che anche il prossimo anno sia all’altezza delle nostre grandi aspettative”. Questo è il motivo per cui anche i prezzi di ingresso e abbonamenti sono rimasti invariati rispetto alla scorsa stagione e, anzi, sono previste forti riduzioni per chi acquista o rinnova il proprio abbonamento entro il prossimo 24 luglio. Biglietti da 13 a 34 euro, per info scrivere a info@teatrocarcano.it o telefonare allo 02.55181377 o 02.55181362.

lunedì 8 giugno 2009

Robert Capa, Gerda Taro e un'autentica passione

Due vite, due destini, due storie, una sola passione: la fotografia. Robert Capa e Gerda Taro sono uniti nella vita, ma anche nel lavoro. Due reporter di guerra che lavorano per la rivista “Vu”. Arrivano insieme in Spagna il 5 agosto del 1936. La guerra civile non è iniziata nemmeno da un mese mentre i due completano diversi reportage dal fronte di Cordoba e da Barcellona. La fotografia si sviluppa in modo sempre più prepotente, così la guerra di Spagna avrà una grande copertura mediatica. Un occhio vigile a testimoniare le vicende del mondo. Tutto questo è visibile presso Forma, Centro Internazionale di Fotografia, che ospita “Questa è la guerra! Robert Capa al lavoro, una grande mostra, composta di quasi 300 scatti. Un resoconto di immagini vintage, documentazioni, provini a contatto e lettere personali per comprendere e conoscere come uno dei più apprezzati fotografi di tutto il mondo, promotore e animatore dell’agenzia Magnum, lavorava e affrontava gli impegnativi e strenuanti viaggi sui vari fronti di guerra. Per la prima volta, accanto alla mostra di Capa, inaugura contemporaneamente una mostra che la completa e spiega: l’esposizione di Gerda Taro, anch’essa fotografa e celebre soprattutto per l’intensa relazione sentimentale instaurata con Robert Capa. La Taro è stata una pioniera della fotografia passando tutta la sua breve vita per raccontare gli scontri tra franchisti e partigiani in Spagna. Infatti si spegnerà a soli 27 anni proprio durante un conflitto a fuoco. Ma i suoi ritratti erano stati, fino a oggi, poco osservati e oltremodo sottovalutati. Questa mostra ha il valore di riconsegnarla alla storia, a ragione, come fotografa temeraria e talentuosa.
Le foto che ritraggono la guerra civile spagnola immortalano tutto il mondo che gira intorno al conflitto: non solo soldati al fronte con la baionetta puntata, ma anche la popolazione civile devastata dalla guerra. Particolare attenzione è riservata a donne e bambini. Un gruppo di signore che con enormi cesti di panni in testa fuggono alla ricerca di un riparo, bimbi in attesa di un tozzo di pane, ragazzini soldato sull’attenti, fieri di indossare la divisa e di poter stringere il fucile tra le mani. Ma si osservano anche soldati nel momento del riposo, a scambiare quattro chiacchiere per allentare la tensione o rifugiati sotto un grande masso a consumare il rancio in fretta e furia aspettando un nuovo scontro. Su questi temi si confrontano i due fotografi che con stili e inquadrature differenti mostrano una simile genialità. L’occhio della Taro è sfuggente e abile nel cogliere il movimento, gli scorci, l’infinito attraverso un muro abbattuto da una bomba a mano. Robert Capa cura le inquadrature, coglie gli sguardi e l’animo della gente, involontaria protagonista dei suoi scatti. Il racconto della guerra giunge a descrivere anche gli attimi più raccapriccianti della tragedia: la morte che si insinua tra soldati e popolazione. Non ci sono tabù e inibizioni nel fermare sulla pellicola l’immagine di soldati colti nel momento in cui una pallottola li colpisce alla schiena o giovani in divisa sanguinanti sul letto di un ospedale da campo. Le fotografie della mostra proseguono nella descrizione di altre guerre: il conflitto tra Cina e Giappone e la Seconda Guerra Mondiale. Ma nulla cambia. Gli occhi a mandorla dei protagonisti non modificano la sensazione di disperazione che porta la guerra, la tragica stupidità di un fenomeno voluto da pochi e che si abbatte su popolazioni innocenti costrette a subire orrori e perdite in nome di un ideale spesso inafferrabile.

Per accendere una serata un po' spenta...

Pizza tra amici o pranzo dalla suocera: ci si annoia un po’ ed ecco che la mente si mette a vagabondare. Perché, dunque, non ravvivare l’atmosfera con un dopocena piccante insieme al proprio partner? Basta creare un ambientazione calda e intrigante e procurarsi uno dei tantissimi giochi da tavolo erotici in vendita in tutti i sexy shop. Si chiamano “Sensuale”, “Passe-partout”, “Kupido”, “Pornopoli” o “French Kiss”. Dopo la ribalta dei giochi da tavolo erotici avvenuta in Italia un po’ in ritardo rispetto alla rivoluzione sessuale di altri stati, dagli anni '80, lo “Strip poker” torna di moda nei pornoshop. Un modo hot, divertente e alternativo per passare una serata diversa con il partner o in doppia coppia.
Il gioco sul sesso sicuramente più famoso è “Così fan tutti” di Giochi Preziosi. Naturalmente vietato ai minori di 18 anni, consiste in guadagnare punti nel corso delle quattro manche che compongono la partita. In ognuna di esse si utilizzano carte, dadi o cartelle e cambia anche l’argomento. Alla coppia che ottiene più punti alla fine di ogni manche viene dato il titolo di “playboy” e “playgirl”.
“Passe-partout” è un gioco pieno di sorprese firmato Lover’s Choice. Esercizi per il piacere, spunti trasgressivi, tecniche di seduzione, giochi di ruolo: c’è da aspettarsi di tutto nelle “52 settimane di notti maliziose” da condividere con l’altra metà. Basta sollevare una carta per scoprire quale eccitante sorpresa vi aspetta!
In “Sensuale” passione per il cioccolato e desiderio erotico si mescolano in questo gioco che interpella la sfera dei cinque sensi. Si lanciano i dadi e si seguono le istruzioni indicate: cospargere di cioccolata la bocca, il collo del partner oppure il seno della partner. E all’interno, è incluso anche il Divine Dessert da spalmare (freddo) su tutto il corpo.
“Striperotica” richiama vagamente il gioco dell’oca perché contiene un gioco di percorso; edito dalla Salemi, da una casella all'altra, le coppie si affrontano sulla plancia superando alcune prove di argomento erotico-malizioso. Si passa da prove leggere come "bacio sulle labbra" a quelle più impegnative tipo: “tocca il partner lì”. E chissà che nel corso del gioco a un certo punto non avvengano anche scambi di coppia.
“Pornopoli” è della metà degli anni ottanta (edito dalla G.V.R.). Il gioco tratta di una ipotetica città, chiamata Pornopoli, in cui gli abitanti si danno al contrabbando, al commercio di alcolici, alle bische segrete e alla prostituzione. Quando un giocatore non è in grado di pagare le somme richieste può vendere i propri vestiti o, ed è qui la novità intrigante del gioco, pagare in natura.
“Kamasutra Game” (distribuito dalla Unicopli) è un gioco associato a prestazioni ginniche che vengono richieste dal lancio di alcuni dadi che riproducono le facilmente immaginabili posizioni erotiche. Non mancano alcune posizioni che scatenano risate e commenti salaci da parte di tutti i giocatori. La Quality Games produce “Kupido!” di Giovanni Caron. Ogni giocatore inizia con punteggi in: fisico, cultura, fascino, soldi, sentimento ed erotismo (gli ultimi due segreti). Ognuno gira su un percorso e cerca di migliorare le proprie caratteristiche e trovare l'anima gemella con le caratteristiche ideali. Caratteristica inusuale per questo gioco è che si può entrare a partita iniziata e si può smettere prima della fine senza compromettere nulla.
“French Kiss”, invece, è un gioco divertente e malizioso che offre un’alta giocabilità, ha regole semplici da osservare e riduce l’inibizione che nasce quando si trattano argomenti “piccanti”. Il gioco prevede un minimo di quattro giocatori, due ragazzi e due ragazze che, seduti in cerchio, gireranno a turno la freccia di “Cupido”, posta al centro di un disco circolare e risponderanno a domande o eseguiranno azioni dettate dalla carta pescata: le carte viola si riferiscono alle attività più “soft”, quelle rosse prevedono un gioco più “hot”. Più di trecento penitenze da eseguire da solo, in due o in gruppo, per ridere, sedurre e scoprirsi. Domande verità per rivelare i vostri desideri ed esperienze nell’ambito della vita e dell’amore come: “Qual è la tua arma di seduzione?” oppure: “Hai mai baciato sulla bocca un ragazzo senza conoscerne il nome?”. Le carte penitenza: “In meno di dieci secondi e con una mano sola, togli la cintura del ragazzo che la tua prima vicina di sinistra avrà scelto. Se ci riesci, lei lo bacerà sul collo dopo avergli messo la cinta”. O ancora: “Cerca d’attizzare il tuo primo vicino di sinistra. Se non è rimasto insensibile ti bacerà sulla bocca”; sarà la ruota a decidere la sorte e anche il destino farà la sua parte. E a questo punto…buon divertimento!