lunedì 3 maggio 2010

Paolo Rossi e il suo "Mistero Buffo"

A un anno di distanza dal successo della “Cimice” di Majakovskij, Paolo Rossi torna al Piccolo Teatro Strehler, dal 4 al 30 maggio, con “Il Mistero Buffo di Dario Fo (Ps: nell’umile versione pop), la sue versione dello spettacolo del celebre Premio Nobel per la letteratura. Paolo Rossi è un attore eclettico, comico, drammatico, spensierato e rapido. Eppure mettere in scena un capolavoro come “Mistero Buffo” non è stato facile.
Dario Fo è stato uno dei suoi maestri: cosa significa rappresentare un suo testo?
Ho avuto la fortuna iniziare a lavorare con grandi maestri come Strehler, Jannacci, Gaber, però Dario Fo è stato il primo e il più importante. Al punto che quando ho debuttato con questo spettacolo mi sembrava di averlo fatto da sempre. Nella testa me l’ero già recitato centinaia di volte. Rappresenta una grande vittoria per me.
Come è stato concepito questo “Mistero Buffo”?
Lo spettacolo è nato grazie a una rete di persone che mi permettono comunque di lavorare in completa autonomia, prendendomi tutta la responsabilità. E’ figlio dei laboratori fatti in collaborazione con il Teatro Popolare della Corte Ospitale di Rubiera e con la Fondazione Giorgio Gaber.
Che tipo di spettacolo porterà in scena?
E’ un monologo supportato dalla regia di Carolina De La Calle Casanova. E’ uno spettacolo complesso e articolato dove c’è anche la presenza della musica e in una scena reciterò con Lucia Vasini, una delle più brave attrici italiane. In parte ho “rubato” dalla versione di Dario Fo e in parte ho aggiuto racconti inediti. La prospettiva è sempre quella della povera gente che esprime i suoi malumori nei confronti del potere.
Cosa significa il sottotitolo “Nell’umile versione pop”?
Pop non significa solo mischiare cultura bassa e cultura nobile, storia ufficiale e racconto orale, ma è anche riuscire a dosare in un’epoca che non è più quella degli anni Settanta, i cambi di registro, dal comico al drammatico, l’apertura di finestre per creare una partitura drammaturgica che, attualizzata, rispetti la partitura e il metodo di Dario Fo.
Dario Fo recitava in “grammelot”, una lingua inventata da lui. Quale sarà il linguaggio del suo spettacolo?
Io faccio un “minestrone” tra dialetti vari e onomatopea. Io utilizzo una “lingua di sopravvivenza”, cerco di farmi capire con un idioma reinventato. Questo lo faccio sia a teatro che quando vado all’estero. Nel primo caso mi pagano, nel secondo sono io pagarla.
“Mistero Buffo” di Dario Fo non piacque al circuito mediatico. La sua riduzione ha una scrittura che rischia la censura?
Io aspiro alla censura!
Lei è stato definito “animale da palcoscenico”, “attore anachico”, ecc. Come si arriva fino a qui?
Ci vuole studio, imoegno, training, allenamento. E soprattutto non basta il singolo che arriva sul palco e recita il suo monologo: non si tratta mai di una performace solitaria, ma deve essere supportata da un team di qualità.

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